In mostra fino al 30 luglio 180 opere di Dalì, Man Ray, Magritte e altri artisti, provenienti dal museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam
L’iconico divano rosso fiammante a forma di labbra ideato da Salvator Dalì, ispirato alla bocca carnosa della procace attrice americana degli anni Trenta Mae West. Il busto di marmo della Venere di Man Ray, avvolta in un intrico di corde, con quei seni che sbucano dai lacci, in stile bondage. Due scarpe che diventano piedi, o viceversa: una delle opere più sconcertanti di René Magritte… Benvenuti nel mondo straordinario del Surrealismo. Ospitata al Mudec di Milano, la mostra Dalì, Magritte, Man Ray e il Surrealismo, è visitabile ancora fino al 30 luglio. Più di 180 le opere esposte, tra dipinti, sculture, disegni, pubblicazioni e oggetti, tutti provenienti dalla celebre collezione del museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam.
Era il primo dicembre 1924 quando a Parigi il poeta francese André Breton pubblicava la sua raccolta di prose “Poisson Soluble”, la cui introduzione sarebbe diventata il Primo Manifesto del Surrealismo, inaugurando ufficialmente la più onirica tra le avanguardie del XX secolo.
Di fronte alla insensatezza della guerra e della logica razionale come valore assoluto dell’agire umano, gli artisti surrealisti avvertivano il bisogno di liberare la mente verso altre dimensioni. Esprimendo le paure, i desideri, i sogni, gli incubi ricorrenti e le fantasie più recondite.
Ribellandosi ai limiti della mente razionale e alle convenzioni sociali repressive, fortemente influenzati dalle ricerche di Sigmund Freud, con i suoi studi sul sogno e sull’inconscio, gli artisti surrealisti hanno declinato un proprio affascinante linguaggio espressivo nella creazione di opere d’arte, combinando elementi fantastici, visioni oniriche e simboli enigmatici. Un “automatismo psichico” al di fuori di ogni controllo cosciente.
La forza motrice del Surrealismo si avvicina molto alle “libere associazioni” che hanno contraddistinto il metodo psicoanalitico sin dai suoi esordi: accostamenti assurdi, incongruenti e inusuali all’insegna di parole d’ordine quali “sogno, irrazionalità, psiche, inconscio, meraviglioso, pulsioni, desiderio, erotismo, libertà”. In assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, generando significati ambigui, complessi.
Guardate la Venere di Milo con cassetti, Salvador Dalì richiama esplicitamente la cultura greca classica, in quanto la sua scultura non è altro che un calco della Venere. Il significato più profondo della scultura si può ritrovare nella frase che lo stesso autore scrisse: “L’unica differenza tra la Grecia immortale e l’epoca contemporanea è costituita da Sigmund Freud, il quale ha scoperto che il corpo umano è oggi pieno di cassetti segreti che soltanto lo psicanalista è in grado di aprire”. Gift di Man Ray: quattordici chiodi saldati sulla piastra di un ferro da stiro. La sua apparenza aggressiva che stride con il suo essere “dono”, assume così quel significato ambiguo, contraddittorio.
Concreta applicazione di questo metodo sono anche gli “oggetti surrealisti”. Come “Snuff”, un flacone a forma di pipa per un profumo per uomo della stilista Elsa Schiaparelli o un astuccio per cipria compatta a forma di telefono, che riprendeva la tastiera con i numeri e il puntatore, prime collaborazioni tra Salvador Dalì e la stilista italiana, nel 1935.
Non manca neppure un nutrito gruppo di artiste: rivendicano il loro spazio di “Muse di nessuno”, ma respingendo l’idea di un’arte femminile. Tra queste primeggia Leonora Carrington con il suo Again, the Gemini are in the Orchard: dipinto nel 1947 e ispirato al Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch, ci trascina in regni magici dove ogni cosa è fuori dall’ordinario.
Una mostra che ci stimola a interrogare noi stessi su ciò che consideriamo reale, e su come ciò che ci circonda può essere letto in maniera diversa se lo si guarda da una prospettiva inedita. Una mostra per i visionari di oggi.