Titolo del Corriere della Sera: “Preso a calci in una rissa tra genitori alla partita di calcio degli under 9: allenatore perde un rene”.
Raramente un titolo di giornale riesce ad essere così chiaro, sintetico ma esaustivo di una vicenda che getta ombra su tutti. Una sorta di distillato di miseria umana, di violenza, di profanazione di un ruolo (quello genitoriale) e di un contesto (lo sport). Ma anche spietato specchio dei tempi e implacabile risposta all’oziosa domanda che ipocritamente ci poniamo sul perché gli adolescenti, oggi, siano violenti e senza regole.
Il contenuto dell’articolo è un cronachistico dettaglio, perché l’essenza è tutta nelle due righe del titolo che meritano di essere analizzate partendo proprio dalla “rissa tra genitori” anche se le virgolette dovrebbero essere messe solo alla parola “genitori”. Un macabro gusto dell’horror mi spinge a chiedermi cosa possa essere stato a generare la rissa: un fallo in campo di un bambino di sette anni su un altro bambino di sette anni? Un gol annullato? Un fuorigioco inesistente? Se invece di una partita tra bambini in un torneo di calcio estivo fosse stata la finale di un campionato, invece di pugni e calci si sarebbe passati direttamente alle armi?
Con che visione del futuro (non parliamo di valori, per carità) cresceranno quei pulcini in braghette e maglietta che avranno assistito a quanto accaduto? Che avranno visto trasformarsi una partitella estiva tra bambini in una rissa non tra indistinte tifoserie, ma addirittura tra i loro genitori con i quali dovranno, magari mano nella mano, tornare a casa?
E questi scellerati genitori cosa racconteranno ai loro figli? Chiederanno perdono dicendo, il padre al figlio, in una grottesca inversione di ruoli: “Ti giuro che non lo faccio più”, o si vanteranno di averli difesi per ribellarsi al fallo o al fuorigioco inesistente?
L’etica e il valore sociale dello sport, il fair play, l’esempio genitoriale, il rifiuto della violenza, l’accettazione della sconfitta e della frustrazione? Ciarpame. Roba da libri e la cultura – si sa – non serve. Tutto alle ortiche e il risultato ce lo abbiamo sempre più evidente, giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi.
E c’è anche da chiedersi se questo episodio sia andato a finire sul giornale “solo” perché ha avuto conseguenze gravi per una persona (l’allenatore che cercava di sedare la rissa ha avuto un rene asportato per un calcio). Ma quante “risse” fisiche e verbali ci saranno ogni giorno intorno ai campetti di periferia – quale “virtuoso esempio” per i bambini che ci giocano – e che solo per mancanza di “prognosi gravi” non assurgono agli “onori della cronaca”?
C’è davvero rimpiangere come tempi felici quelli in cui si ammonivano i genitori dicendo loro che da fumatori avrebbero avuto più difficoltà a spiegare ai figli che fumare fa male. E non voglio nemmeno rievocare come esempio quando, ormai secoli fa, tornato a casa arrabbiatissimo per una partita di pallavolo persa all’ultimo punto perché l’arbitro ci aveva chiamato un “fuori” inesistente, mia madre, che la partita non l’aveva vista e non credo conoscesse le regole della pallavolo mi disse: «Secondo me aveva ragione l’arbitro». Forse, giocando miseramente al ribasso, oggi basterebbe che i genitori non si menassero a vicenda davanti ai figli. O forse basterebbe che almeno la smettessimo, tutti, di affettare incredulità e sdegno difronte alla violenza giovanile di cui siamo in larghissima parte responsabili.
Per descrivere una situazione incontrollabile, senza regole e violenta, spesso – ed in particolare sui giornali – si ricorre alla metafora del “Far west”. Beh, andatevi a rivedere un vecchio film con John Wayne o Clint Eastwood e poi ne riparliamo. Magari fossimo nel Far west dove almeno donne e bambini erano rispettati.