Nell’ambito della rassegna “Menotti in Sormani”, lo spettacolo che prende vita dalle canzoni di Tenco con la voce narrante e canto di Sandra Zoccolan, compagnia teatrale ATIR
Bang Bang. Era il 27 gennaio del 1967, un colpo di pistola alla tempia mise fine alla breve vita del cantautore Luigi Tenco. Il corpo viene rinvenuto nella sua stanza d’albergo, la 219 della dependance dell’Hotel Savoy di Sanremo, dopo la sua esibizione sul palco del Festival di Sanremo in coppia con la famosa cantante francese Dalida, con il brano “Ciao amore ciao”, bocciata senza appello dalle giurie. Aveva solo 28 anni. Ma aveva già composto canzoni di altissima qualità musicale e sul piano dei testi.
Il 14 luglio, ore 19.30, nel Cortile d’Onore di Palazzo Sormani nell’ambito della rassegna “Menotti in Sormani”, Sandra Zoccolan (voce narrante e canto ) accompagnata da Mell Morcone (pianoforte) e da Alessio Pacifico (percussioni e batteria) fa rivivere l’indimenticabile figura del cantautore, con lo spettacolo “Bang bang…di colpo lui. La storia di Tenco e Dalida”. Lo spettacolo che prende vita dalle canzoni non segue la struttura del recital. «Attraverso le parole, le interviste e le canzoni, ho cercato di tratteggiare il profilo dell’artista e dell’uomo. L’infanzia, un padre mai conosciuto, il conflittuale rapporto con l’RCA e il mondo del mercato discografico. Gli amori. Istantanee di un’esistenza in cui non mancano i momenti più introspettivi e malinconici, insieme a quelli più divertenti. Perchè Luigi era anche un ragazzo allegro. E poi la musica, tanta musica, capace di descrivere il lato forse meno noto dell’artista, ossia quello delle canzoni scomode, ironiche, dissacranti e dal risvolto sociale», ci racconta Sandra Zoccolan, attrice e cantante, socia fondatrice della compagnia teatrale ATIR.
Di Tenco cosa l’affascina?
«Il suo essere ribelle. Protestatario e romantico. Idealista e inquieto. Come lo sono tanti giovani. Un antimilitarista convinto. Mi sono appassionata a quel “rivoluzionario” che nel ’64 aveva abbandonato il Partito comunista perché, diceva, “i rossi si son tutti sbiaditi”. Quel ragazzo che aveva interrotto gli studi di ingegneria perché sosteneva: “Io non costruirò mai ponti e case per far accumulare quattrini ai potenti. Meglio che nelle case arrivino le mie canzoni”. Un cantautore che canta la rabbia di una generazione, intercetta il disincanto sociale che presto sfocerà nelle proteste studentesche e che allo stesso tempo si ritrova a Sanremo a inseguire il sogno di una popolarità da star, incapace di sottomettere la propria musica alle logiche commerciali delle case discografiche che detesta. Ma vuole parlare e arrivare al grande pubblico. Bellissimo, con un aria malinconica, forse dovuta a un infanzia non proprio felice. Orfano di un padre mai conosciuto, morto qualche mese prima che lui nascesse (forse ucciso dal calcio di una mucca alla tempia durante la mungitura), Luigi scoprì in modo traumatico e in tenera età di non essere figlio dell’uomo che gli aveva dato il suo cognome, ma di una fugace relazione della madre Teresa con il figlio di una ricca famiglia di Torino presso cui lavorava come cameriera “Fu come se il mondo mi crollasse addosso: mi sentii tradito, odiavo tutto e tutti, divenni diffidente, chiuso, scontroso, ‘cattivo’. Ma ero soltanto un bambino infelice!”, disse lui stesso. Figura perfetta per un destino tragico. Per quel colpo di pistola».
Quali brani ci saranno in scaletta?
«Accanto ai brani più importanti e conosciuti, anche il reperorio meno conosciuto del grande cantautore. Brani come Cara Maestra. “Un giorno m’insegnavi che a questo mondo noi siamo tutti uguali. Ma quando entrava in classe il direttore, tu ci facevi alzare tutti in piedi. E quando entrava in classe il bidello, ci permettevi di restar seduti”. C’è un ribaltamento totale: l’autorità scolastica messe in discussione. È il Tenco che cerca la giustizia, che si indigna nel vedere l’ingiustizia sociale, politica. Gli varrà una bella sospensione dalla Rai per ben due anni. Altra canzone che a quei tempi ha fatto discutere è stata Vita Famigliare, un brano ironico contro gli anti-divorzisti. Prima del referendum sul divorzio, un dialogo tra un marito che vuole separarsi e un giudice che vuole impedirglielo. Ancora una volta in anticipo sui tempi. Queste canzoni fanno oltretutto a pezzi l’idea del Tenco triste, sono brani ironici, interpretati in modo spesso molto teatrale. Vi stupirà anche Giornali femminili: Si tratta di un brano ironico e protofemminista. Tenco ride letteralmente in faccia, nel senso che si produce in una vera e propria risata, mentre canta all’idea secondo cui, viste le tematiche affrontate nei giornali femminili, la donna sia interessata unicamente a problemi sentimentale di qualche grande attore da copertina e non, a esempio, problemi alti come – cito: “trasformare la scuola, abolire il razzismo, proporre nuove leggi, mantenere la pace“».
Tenco scrive canzoni d’amore struggenti
«Luigi Tenco, come nessuno prima e nessuno dopo di lui, ha avvicinato in primis il tema dominante di tutte le canzoni del mondo, l’amore, e lo ha raccontato da una prospettiva completamente nuova. “Un giorno di questi ti giurerò d’amarti sino all’ultimo giorno; ma tu sai già benissimo che non si può sapere cosa sarà domani”. Oppure l’arcinota: “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”, ma poi contrariamente al senso di noia che lo aveva originato, sostituisce da un momento all’altro lo smarrimento, l’irrinunciabilità di un sentimento vero che lo spinge a cercare tutta la notte la donna che ama. E ancora: “Guarda se io che ero cosi sicuro della mia vita dovevo incontrar te ed ecco, da un momento all’altro nel mio mondo di ieri, non capirci più niente, nel mondo di domani vedere solo te”. Per me i versi d’amore più belli del Novecento».
La sua preferita?
«Vedrai, vedrai, uno dei brani più famosi e struggenti di Tenco. A sentirla la prima volta, si pensa a un Tenco che torna a casa dalla sua compagna, che è delusa ma anche comprensiva per la vita che egli sta conducendo. E lui la rincuora: “Vedrai che cambierà. Forse non sarà domani, ma vedrai che cambierà”. Ma in realtà non si tratta di una compagna, bensì di sua madre che il cantautore temeva di aver deluso per le scelte che ha fatto (abbandonare gli studi per dedicarsi alla musica)».
Dalida e Tenco. Fu vero amore?
«Anche qui quante congetture! Anche tutti coloro che li conoscevano, che erano intorno a loro, erano divisi su questo argomento. Per alcuni si è trattato solo di una mossa pubblicitaria, per lanciare la canzone di Sanremo, per altri invece si è trattata di un amore bruciante. Dalida lo amava? Forse sì. Ma Luigi, così sembra, amava un’altra, la misteriosa Valeria, della quale si sa pochissimo. Eppure davanti a tutti… Ancora oggi è difficile capire quale sia la verità, ma una cosa è certa tra i due qualcosa c’è stato».
Come si incontrarono?
I due artisti si conoscono nel 1965 a Roma, negli studi della Rai durante Scala Reale, l’ex Canzonissima. Dalida ha 32 anni ed è già una delle icone della musica internazionale. Tenco, 27 anni, fa parte della scuola dei cantautori genovesi, ha popolarità ma non è un big . Come testimonia il frammento video disponibile in web, rispolverato dalle Teche Rai, un Tenco tra il compassato e il divertito guarda Dalida mentre canta e danza sulle note di Zorba. I due incidono insieme Bang Bang (“io sparo a te. Bang bang, tu spari a me. Bang bang, e vincerà. Bang bang, chi al cuore colpirà“), brano ultra famoso, scritto da Sonny Bono per sua moglie la cantante Cher. Iniziano a frequentarsi con discrezione, tra Francia e Italia.
Nel 1966 i rispettivi produttori dei due cantanti decidono di far partecipare entrambi a Sanremo l’anno dopo nella formula abbinata che si usava allora con “Ciao amore ciao”, scritto dallo stesso cantautore. Il brano inizialmente era un grido contro la guerra e si intitolava “Li vidi tornare”, in cui immagina una ragazza che vede i soldati sfilare per il fronte. È una canzone troppo forte per Sanremo, Tenco si convince o viene convinto a cambiarne il testo e diventa l’addio di un giovane migrante alla donna amata in cerca di fortuna al Nord».
Che idea si è fatta del tragico epilogo a San Remo?
«Il caso venne archiviato come suicidio. Ma la versione ufficiale non convince. Le voci sul presunto omicidio di Tenco iniziano a circolare fin da subito. Si diceva che ci fosse implicato addirittura il Clan dei Marsigliesi, che Tenco fu ucciso perché scoprì un sistema di scommesse e di puntate clandestine che alterava il corso naturale della gara canora. In verità ci sono molte cose che non tornano nelle ultime ore della vita di Tenco. Sono ancora molti i dubbi, ancora molte le incongruenze, le ombre e i silenzi su quanto accadde quella notte. Non fu eseguita l’autopsia, né analisi sul bossolo, sull’arma o sulla mano di Luigi Tenco per individuare tracce di sparo. E la pistola? “La pistola è in fondo alla stanza”, “no”, dice qualcuno “è sul comò”, “no, ce l’ha in mano”, “ce l’ha tra le gambe” e anche “quale pistola?”. Però quello sparo non fu sentito nessuno. Le indagini vennero svolte in fretta e furia, tra testimonianze contraddittorie, in circostanze mai chiarite e per ragioni che sarebbe assurdo ridurre all’eliminazione della sua canzone. E il caso venne chiuso in fretta. Troppo in fretta».
Un’autopsia sul corpo di Luigi Tenco fu disposta nel 2005
«Nulla di nuovo, però, è saltato fuori. Insomma, resta una morte misteriosa, dubito che arriveremo mai alla verità. Tenco una volta disse: “Canterò finché avrò qualcosa da dire. E quando nessuno vorrà più stare ad ascoltarmi, bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba. Ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo”».
Quella di Dalida è una vita costellata di grandi successi e il male di vivere che l’affliggeva. Gli amori che nascevano e finivano tragicamente
«Jolanda Cristina Gigliotti, in arte Dalidà, era nata a Choubra, sobborgo del Cairo nel 1933 da genitori calabresi. Il padre Pietro diventa primo violino dell’Orchestra del Cairo. Dopo aver vinto i concorsi di bellezza fra cui quello di “Miss Egitto” nel 1954 , si trasferisce in Francia. Una carriera fulminante. Nel 1956, il primo grande successo: Bambino. Una voce intensa, capace di volteggiare tra ironia e potenza, drammaticità e leggerezza. Gambe lunghissime, un leggero strabismo e una nuvola di capelli rosso fuoco, vestiti sfavillanti con paillettes, piume, ricami che celavano il suo dramma interiore. Nonostante i tanti trionfi, 170 milioni di dischi venduti, ben 38 dischi d’oro in 7 lingue, una vita sentimentale complicata. Amori fulminanti, separazioni burrascose, tragedie. Dopo la morte di Tenco, il suicidio di Lucien Morisse, suo ex marito nel 1970 e nel 1983, il suicidio di Richard Chanfray, compagno della cantante dal 1972 al 1981. Dalidà morirà suicida a 54 anni, dopo ben due tentativi falliti, il 3 maggio del 1987 nella sua casa a Parigi con un cocktail d’un centinaio di barbiturici e whisky. Lasciando un ultimo straziante messaggio di congedo, «Pardonnez-moi, la vie m’est insupportable». La vita mi è diventata insopportabile, perdonatemi”. Aveva cantato, Mourir sur scène (Morire in scena). Dove si rivolge alla morte, “Moi, qui ai tout choisi dans ma vie/ Je veux choisir ma mort aussi” (Io che ho scelto tutto nella mia vita / voglio scegliere anche come morire)».