«Se tutte le tappe della mia vita potessero essere rappresentate come punti su una mappa e unite con una linea, il risultato sarebbe la figura del Minotauro», così affermava Pablo Picasso, per spiegare la presenza costante del mostro mitologico nelle sue opere dal 1928 in poi, fino al 1973, anno della sua morte. Ma anche tori e tauromachie compaiono costantemente nella sua sterminata produzione artistica, a significare l ‘eterna lotta tra istinto e razionalità.
In occasione del cinquantenario della scomparsa di Pablo Picasso (1881-1973), genio indiscusso dell’arte del XX secolo, nello spazio espositivo dell’Atelier Crespi (un laboratorio nel cuore di Brera in cui si impara a disegnare, dipingere e plasmare arte) sono esposti fino al 22 luglio quattro dipinti e cinque disegni su carta realizzati per l’occasione da Massimo Francini, affermato chirurgo e pittore per vocazione (nato a Milano nel 1961, è figlio di un noto mercante d’ arte) che propone, con esplosiva potenza, l’irruente forza del toro, l’impeto vitalistico che prende forma e si genera, in un una profusione di rosso nero arancione e giallo. Tori dai corpi massicci immobili, o in torsioni quasi scultoree che trasudano di una forza primigenia. E suscitano pena se osservati nel loro titanico sforzo di sopravvivere alla ferocia. All’inaugurazione della mostra è andato anche in scena un live painting dell’artista. Una mostra e un evento-performance fortemento voluto e curato da Jacquekline Ceresoli, critico d’arte, docente universitaria, curatrice di mostre, il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità (Meltemi editore).
Un’esperienza emozionale e sensoriale
Durante il live painting Massimo Faccini trasforma la grande tela bianca (tre metri per due) in una arena dove l’ artista si esibisce nell’azione pittorica davanti al pubblico che ha modo così di partecipare e seguire il processo creativo dell’artista. In principio, è la gestualità del carboncino nero che traccia linee stilizzate sul bianco della tela, poi nelle penellate vibranti e sicure, sugggerite da gesti impulsivi e ordinati insieme, muovendosi a destra e sinistra, di sopra e in basso alla tela, in un crescendo cromatico con un senso di partecipazione emozionale alla fisica irruenza della figura taurina che lentamente affiora. E all’improvviso eccola balzare fuori dalla tela.
Un omaggio a Picasso davvero originale. “Nel ricchissimo calendario internazionale delle commemorazioni già da mesi portate avanti, la città di Milano sembra aver dimenticato l’anniversario, almeno fino ad oggi”, ci racconta Jacqueline Ceresoli con una punta di rammarico e in punta di polemica. “E pensare che proprio a Milano, nel 1953 nella Sala delle Cariatidi dalla struggente bellezza ancora devastata dai bombardamenti nazisti, Pablo Picasso aveva esposto la più famosa delle sue opere, Guernica dipinta nel 1937 contro la violenza dela guerra. La mostra comprendeva 329 opere appese alle pareti dallo stesso Picasso, e segnò la rinascita culturale di Milano nel Dopoguerra. Il toro non può mancare anche in Guernica: assiste allo scempio del dolore di cui la tela è imbevuta. Pare che l’ambasciatore di Hitler, riferendosi al quadro, abbia chiesto all’artista: «È lei che ha fatto questo orrore?». «No, è opera vostra», avrebbe risposto Picasso.
Tori potenti e scalpitanti, disegnati, assemblati, scomposti. Minotauri e corride hanno costellato la carriera artistica di Picasso. Cosa rappresentavano per questo genio?
Il Minotauro è l’alter ego mitologico di Picasso. La storia del mito è nota: il Minotauro era nato dall’accoppiamento di un toro bianco, splendido e possente, con Pasifae, moglie del re di Creta, Minosse, a cui era stato inviata in dono dal dio Poseidone. Un mostro feroce, con il corpo d’ uomo e la testa di toro, che richiedeva sacrifici umani. Simboleggia la personificazione tragica della dualità conflittuale dell’essere umano: la parte istintiva, la violenza brutale e la ragione. Eros e morte. Il toro affascina Picasso per la sua potenza vitale e la bellezza sublime delle forme. Potenza distruttric e e al contempo vittima sacrificale nella corrida, uno spettacolo della tradizione molto radicata in Spagna, nonostante le tante polemiche e che fa parte del patrimonio culturale del paese, di cui Picasso andava fiero. La bellezza, l’erotismo e la morte sono i temi dominanti nell’opera di Picasso e sono anche i temi che attraversano la corrida. A otto anni dipinge dopo una corrida e sotto la guida del padre, El picador amarillo. Una straordinaria sequenza di foto rivelano la felicità del pittore mentre finge di toreare con la montera in testa. Aveva un’ammirazione sconfinata e quasi infantile per Luis Miguel Dominguín, uno dei matador più importanti di Spagna (“Quella sì che è arte!”) che sposò Lucia Bosé. Nel libro che racconta di questa amicizia l’attrice svela un divertente aneddoto: “Un altro giorno il piccolo Miguel disse a Pablo: “Mio papà mi ha dedicato le quattro orecchie del toro”. Pablo cercò di fargli capire che i tori hanno solo 2 orecchie. ‘Allora perché tu dipingi le donne con quattro occhi?’
A Milano dove possiamo ammirare i tori di Picasso?
Alla Galleria d’Arte Moderna di Milano è esposto Taureau, è un vaso di ceramica (1955) decorato con una grande figura di toro nero su bianco. Il corpo dell’animale è costruito con una sola campitura nera e due corna bianche evidenti. Questo toro ha perso tutta la potenza del minotauro degli anni precedenti, quasi mansueto. Alla Pinacoteca di Brera è custodita nella sala XXIII una potente Testa di toro un olio su tela del 1942. La testa mozzata dell’animale, ancora sanguinante, campeggia sulla tovaglia bianca di un tavolo, posto di fronte all’inquadratura di una finestra chiusa. Pennellate sintetiche di colore rosso caricano di orrore e dolore il teschio bovino quasi digrignante. “La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. E’ uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”, diceva Picasso. Aveva ragione.