Per secoli simbolo dell’operosità dei monaci, oggi la “macchina molatrice ad acqua” che si trova nel complesso dell’abbazia di Chiaravalle, è un’attrazione da non perdere. Rimessa a nuovo… o meglio riportata indietro nel tempo grazie a un attento restauro, è tornata a funzionare esattamente come una volta
Veder girare la ruota del Mulino che si trova all’interno del complesso monastico dell’Abbazia di Chiaravalle, così come girava otto secoli fa mossa dall’acqua proveniente dalla Roggia Vettabbia, è uno spettacolo unico. E se l’Abbazia è un gioiello medievale, l’antica “macchina molatrice ad acqua” è il suo degno vassallo. Costruita nel Duecento insieme all’edificio religioso, è stata per secoli il simbolo e il mezzo dell’operosità dell’ordine. Fedeli alla regola cistercense, i monaci con il loro lavoro hanno bonificato i terreni circostanti, inventato il sistema delle marcite in agricoltura che ha moltiplicato i raccolti, prodotto il primo Grana padano, scaldando il latte e aggiungendovi caglio e sale. E macinato, macinato, macinato… fino a oggi che, ricostruito perfettamente, il Mulino accoglie visitatori stupiti da tanta bellezza e felici di compiere un viaggio a ritroso nel tempo.
Dal Duecento al Duemila ha macinato tanta storia
Dalla fondazione del complesso monastico di Chiaravalle da parte di San Bernardo nel 1135 (consacrazione nel 1221), gli oltre 800 anni trascorsi non sono passati certo senza scossoni. I monaci hanno vissuto nell’abbazia, pregando e coltivando fino 1798, quando il governo della repubblica Cisalpina soppresse il monastero e la congregazione cistercense. La chiesa divenne una normale parrocchia e i beni della comunità andarono all’asta. Spesso trasformati o addirittura demoliti, come accadde con lo scempio del 1861 del chiostro bramantesco, che fu distrutto per fare posto alla costruzione della ferrovia Milano-Pavia-Genova.
Si salvarono l’antico Mulino e la Cascina Viscontea che l’ospitava. Forti della loro vocazione produttiva, pur passando di proprietà in proprietà, hanno continuato anno dopo anno a macinare mais, frumento e altri cereali, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando il complesso venne abbandonato dagli ultimi “salariati”, che lo abitavano.
Alla fine dell’800 la svolta e l’inizio della rinascita. L’abbazia, il Mulino e i terreni circostanti vengono riacquistati dall’Ufficio regionale per la Conservazione dei monumenti della Regione Lombardia guidata dall’illuminato architetto, storico dell’arte, giornalista e parlamentare Luca Beltrami (durante la sua vita fece ricostruire la Torre del Filarete e restaurare importanti edifici sacri e civili, come la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, il Duomo di Monza, la Certosa di Pavia, il Campanile di San Marco a Venezia). Negli anni Cinquanta i monaci cistercensi tornano a Chiaravalle e, finalmente nel 2009, dopo 10 anni di restauri, grazie a un finanziamento di Autostrada Serenissima, Comune di Milano, Provincia di Milano-Ente gestore del Parco Agricolo Sud Milano e Fondazione Cariplo, le pale del Mulino tornano a girare.
Studiosi e mastri falegnami lo hanno riportato in vita
La perizia con cui è stata restaurata la Cascina Viscontea del complesso monastico lascia sbalorditi, ma sono indubbiamente la ruota e il sistema di macinamento a emozionare e incuriosire maggiormente i visitatori. L’intero manufatto è stato realizzato da una piccola azienda di mastri falegnami di Trento, su disegno dell’architetto Silvio Fiorillo, che per documentarsi e riprodurre esattamente l’antico Mulino ha condotto ricerche su manuali del Cinquecento di tecniche molitorie medievali e vitruviane.
Il risultato sono una ruota, alta 6 metri e con 24 pale, interamente realizzata in rovere e castagno selvatico, legni molto resistenti all’acqua, e una “macchina” molitoria, anch’essa interamente in legno, posta al piano superiore.
Una volta aperte le chiuse che regolano il flusso dell’acqua proveniente dalla Roggia Vettabbia, la ruota inizia a girare, straordinariamente leggera, fino raggiungere i 2 giri al minuto. Velocità che consente alle macine – due conglomerati dell’Adda di 120 cm con un peso di circa 450 kg l’uno – di compiere nello stesso tempo fino a 50 giri.
Per ottenere la farina, i cereali vengono posti nella tramoggia superiore e scendono tra le due macine orizzontali, che girano mosse dal Mulino. Il prodotto grezzo viene convogliato in una grossa madia, dove grazie alla presenza di un fine setaccio viene pulita dalle ultime impurità presenti, per poi finire in una marna, e pronta all’uso.
Per secoli la farina così prodotta è stata alla base dell’alimentazione dei contadini lombardi. Oggi si trova tutto al supermercato, ma se si va al Mulino di Chiaravalle, come ogni anno fanno migliaia di persone – tra scolaresche, turisti e partecipanti a percorsi di educazione ambientale – la farina la si può raccogliere direttamente dalla madia e come omaggio, al posto di bollini e buoni sconto, c’è un meraviglioso viaggio nel Medioevo.
Visite, prenotazioni, info
e visite al Mulino di Chiaravalle (e molte altre iniziative) sono organizzate dalla cooperativa sociale Koiné, con il sostegno di MM spa e Fondazione Grana Padano. Per informazioni: www.abbaziadichiaravalle.it