Al centro della scena buia e a tratti apocalittica, un masso scuro, un cubo di roccia che diventa, di volta in volta, a seconda dei momenti dello spettacolo, rupe, tribuna del potere politico, l’altare di Atena, cambiando soltanto la luce. Le sette madri entrano in scena in un silenzio surreale, chiuse in una lugubre atmosfera di morte di fango o di terra. Si posizionano l’una accanto all’altra. D’un tratto, le loro voci si uniscono: hanno qualcosa da raccontare. Perché unica è la loro sofferenza, nell’inferno del dolore causato dalla guerra, nella fatica e nell’ostinazione di trovare giustizia, nel disincanto finale di comprendere che averla ottenuta non è una vittoria. Perché Il dolore delle supplici e la loro legittima richiesta finisce per generare altro dolore.
L’attualità irrompe affrontando un classico che ci interroga sulla insensatezza della guerra e sulla fragilità delle democrazie. È la loro storia. Il dolore, le grida delle Supplici che piangono i loro figli uccisi presso le porte di Tebe riecheggiano ancora giungendo ai nostri giorni carichi di un pathos reale e vissuto, con una grande regia di Serena Sinigaglia, regista e co-direttrice artistica Teatro Carcano. La drammaturgia, curata da la stessa Sinigaglia insieme a Gabriele Scotti, ha rielaborato una nuova traduzione del testo originale di Euripide, inserendo brani di altri autori, come Cioran, Machiavelli e Platone per arricchire il significato complessivo dello spettacolo. «Da anni voglio affrontare “Le supplici” di Euripide: adesso è arrivato il momento di farlo. È uno spettacolo necessario, direi, oggi – racconta la regista -. È incredibile quanto una scrittura che risale al 423 a.C. risuoni chiara e forte alle orecchie di noi facendoci di provare a riflettere sulla fragilità e le contraddizioni dalle democrazie occidentali, incapaci di fermare le guerre e, su questi giorni, stranianti e strazianti che stiamo vivendo, in cui scenari di guerra si levano sempre più cupi».
“Per seppellire i nostri figli, sono morti i figli di altre madri. E la pace, quanto durerà?”, dice a un certo punto una delle donne in scena. Perché in questo lutto feroce che muove la tragedia, in questa richiesta così legittima delle Supplici, alla fine si arriverà al rito funebre da quelle madri preteso, ma sarà a costo di altra violenza e altre morti. Euripide condanna l’assurdità della guerra e delle sue conseguenze, che minaccia di intaccare la vita dell’intera società umana. “O infelici mortali, / perché prendete nelle mani le lance e fate stragi, gli uni contro gli altri? Basta, con le guerre! / Custodite le vostre città, insieme, tutti in pace./La vita è cosa da nulla, viviamola dunque tranquilli/ si chiede Euripide (per voce di Adrasto, re di Argo, nel finale).
Meritatissimi gli applausi a un cast di sette straordinarie attrici (Francesca Ciocchetti, Matilde Facheris, Maria Pilar Pérez Aspa, Arianna Scommegna, Giorgia Senesi, Sandra Zoccolan e Debora Zuino) che hanno interpretato nel modo più convincente, anche i ruoli maschili con l’uso di pochi elementi emblematici: un lacerto di corazza, uno scudo, via via aggiunti agli splendidi costumi femminili creati da Katarina Vukcevic.