Deshandu, classe 2002, mi ha subito colpito per lo sguardo limpido, la determinazione gentile e la voglia di imparare. L’ho conosciuto come studente di scuola media per adulti. Ci incontriamo al parco perché desidero farmi raccontare la sua storia.
Come mai tu e la tua famiglia avete scelto di venire a Milano dallo Sri Lanka?
«L’apripista è stato mio zio, il fratello di mia madre. È venuto in Italia via nave. Dopo qualche anno, è riuscito a ottenere i documenti e far arrivare mio padre, che è venuto a lavorare qui quando avevo cinque anni. Io sono venuto per la prima volta a dodici anni per fare i documenti, insieme a mia madre e ai miei due fratelli, uno più grande e uno più piccolo. Mio padre abitava a Linate, vicino all’aeroporto. Ogni due anni tornavamo in Italia per due o tre mesi per stare insieme e rinnovare i documenti. L’Italia mi è subito piaciuta molto, non so perché; giocavo con gli altri ragazzini al parco, mi piaceva la novità. Mio padre però voleva che crescessimo in Sri Lanka. Mio zio invece diceva che in Sri Lanka non c’è futuro e anche mia madre la pensava così.
Nel 2019, dopo che ho preso la maturità, sono venuto con mio fratello grande per rinnovare i documenti. Poi c’è stato l’attacco di Pasqua in Sri Lanka. Era estate, aspettavo i risultati dell’esame, e mi sono messo a studiare italiano. Mi è piaciuto tantissimo e ho pensato che volevo rimanere in Italia. Tanti amici e insegnanti, mi chiamavano dallo Sri Lanka e mi dicevano di tornare: “Rimani in Sri Lanka, ti aiutiamo noi”. Adesso dicono il contrario, che ho fatto bene».
Avete avuto problemi per i documenti?
«Mia madre ha dovuto aspettare più di tre anni per raggiungerci, perché nel 2017, quando siamo andati insieme in prefettura per il rinnovo, le hanno ritirato il permesso. Quella mattina, l’avvocato che doveva aiutarci nelle pratiche ci ha mandato un messaggio poco prima per dirci che non poteva venire. In prefettura ci hanno detto che mia madre non avrebbe potuto stare fuori dall’Italia per più di un anno consecutivo, e lei aveva sforato di una settimana per starmi vicino per gli esami. L’avvocato ci ha detto che dopo sei mesi saremmo riusciti comunque a riavere il permesso di soggiorno. Mio padre ogni tre mesi andava a incontrare questa avvocatessa e le pagava trecento euro. Ma dopo un anno non era arrivato niente, e così abbiamo dovuto iniziare una nuova procedura per ottenere il ricongiungimento familiare. Adesso che siamo di nuovo tutti uniti in famiglia la vita è migliorata. Mia madre ci è mancata molto. Per esempio ora mangiamo meglio».
Non è una storia isolata. Quando insegnavo agli adulti stranieri ogni giorno in classe mancava qualcuno perché era a fare la coda per i documenti. Dopo quanto tempo ci si può liberare di questa burocrazia?
«Per il permesso definitivo bisogna dimostrare di aver avuto la residenza continuativa in Italia per dieci anni. Mio padre non ce l’ha ancora, anche se è da molto più di dieci anni in Italia. Quando ha fatto domanda è risultato che in Sri Lanka avevano scritto il suo nome sbagliato. Noi abbiamo tutti quattro o cinque nomi e gli errori sono frequenti. Quindi ha dovuto rifare la domanda anche lui».
Cosa spinge una persona a lasciare lo Sri Lanka per venire in Italia?
«Il primo motivo è il lavoro. Lì è pagato pochissimo. Poi è difficile trovare un lavoro che corrisponde al titolo di studio. Lo Sri Lanka è un paese molto bello che attira tanti turisti ogni anno, però c’è una tremenda crisi economica, continue crisi di governo, corruzione, e di conseguenza i giovani scappano, soprattutto quelli che hanno studiato.
Mio padre ha un titolo di studio ma qui fa le pulizie. Io mi sono detto che non devo fare come lui, devo imparare. Lui è venuto senza nessuno, non ha avuto tante possibilità. Io invece ho mio padre che si prende cura di me; quindi, devo imparare bene la lingua e prendere un buon titolo di studio. Lui è in Italia da quindici anni ma non parla benissimo perché, quando torna a casa la sera guarda le notizie dello Sri Lanka in srilankese; questo è il problema».
Tu hai una storia interessante anche per il percorso scolastico…
«Sì, l’estate che sono arrivato non sapevo dove potevo iscrivermi. A Milano ci sono tanti srilankesi ma le informazioni sulle scuole non circolano. Tanti miei amici dello Sri Lanka frequentano scuole internazionali, ma noi abbiamo pensato che se rimaniamo in Italia è meglio frequentare una scuola italiana.
Quando sono arrivato ho provato a iscrivermi a una scuola italiana ma mi hanno detto che dovevo aspettare settembre. Intanto ho cercato i corsi per imparare la lingua. Lo zio di mia madre mi ha detto che c’era una chiesa vicino a Porta Venezia dove tenevano un corso di italiano gratuito due sere alla settimana. Nel frattempo, ci eravamo già trasferiti in zona Bande Nere. I volontari erano studenti dell’università, molto bravi. Ogni tanto sento ancora qualcuno di quei compagni. Ci insegnavano come presentarci, cosa dire nelle varie situazioni, e un minimo di grammatica. Poi ho incontrato una signora in parrocchia che ha aiutato molto me e mio fratello per migliorare il nostro livello di italiano. A settembre mi sono iscritto al Cpia (Corsi Provinciali di Istruzione degli Adulti). vicino a casa mia, in zona piazza Frattini. Mi sono presentato da solo perché mio padre era al lavoro. La maestra mi ha fatto un esame per vedere le mie competenze di italiano e mi ha detto che potevo iniziare subito con la terza media».
Che bravo! In una sola estate hai raggiunto il livello che alcuni impiegano due anni a raggiungere!
«Sì, a giugno ho preso la terza media».
Come ti sei trovato a scuola?
«In genere bene ma non sempre. Alle medie ho avuto un prof di Matematica che non ci insegnava niente. Stava tutto il tempo su Facebook, vedevamo il riflesso del suo cellulare nella finestra. Chiamava qualcuno a caso alla lavagna e ci dava da fare un esercizio senza spiegazioni. Quando il ragazzo alla lavagna si bloccava lui aspettava cinque minuti in silenzio, poi si alzava e risolveva l’esercizio. Alla fine diceva: “Va beh, ti regalo un sei”».
E dopo la terza media?
«Non potevo iscrivermi alle scuole normali della mattina perché avevo più di diciotto anni. Non sapevo dove andare. La segretaria dell’oratorio ha visto un annuncio su un giornale e mi ha consigliato la scuola comunale Manzoni a Loreto che costa trecento euro all’anno. Potevo frequentare il biennio comune delle scuole superiori. Però era il periodo del Covid, tutto era on-line e non capivo niente. Allora ti ho chiamato e mi hai consigliato di tornare al Cpia per frequentare anche il biennio comune.
Dopo Natale quindi mi sono trasferito di nuovo in un Cpia. A fine anno, a maggio, ho scoperto che dovevo fare un test delle materie di indirizzo che non venivano insegnate al Cpia e che mi avrebbe permesso di entrare direttamente al terzo anno di istituto tecnico serale. Ho scelto l’indirizzo Meccanica e Meccatronica. Ho studiato cinque materie da solo a giugno e luglio; guardavo su internet. All’esame di ammissione mi hanno fatto domande abbastanza semplici, come le unità di misura del sistema internazionale. Ho superato tre materie e sono stato rimandato per le altre due: disegno tecnico e tecnologia. Mi avevano chiesto che cos’è un altoforno ma non lo sapevo. Ho ridato questi due esami a settembre. Disegno l’ho superato. C’era un professore anziano che all’esame si è messo a spiegarmi le proiezioni ortogonali. Per Tecnologia mi avevano fatto più o meno le stesse domande e sono riuscito a superarlo. Lì ora mi trovo bene. Ogni studente è considerato una persona con talenti, e obiettivi unici. Gli insegnanti sono consapevoli di questa diversità e si impegnano a guidarci individualmente. Ora ho 22 anni e sono in quinta, all’ultimo anno».
Hai un sogno per il tuo futuro?
«Sì, vorrei iscrivermi all’università e diventare ingegnere o informatico».
Un bellissimo progetto. Mi hai detto che stamattina sei andato a messa. La parrocchia ti ha aiutato in questi anni?
«Sì, ho frequentato l’oratorio per tre anni. La mia famiglia è cattolica. In Sri Lanka ci sono tanti cattolici e buddisti. Andavo in parrocchia soprattutto d’estate. Giocavo a pallavolo, basket, calcio; anche se a calcio non so tanto giocare.
La segretaria dell’oratorio ci ha aiutato in vari modi. Per esempio a trovare la scuola, e anche per trovare dei volontari che ci aiutassero nello studio. È stato un gran vantaggio. Specialmente i preti ci hanno aiutato tanto. All’inizio non ci parlava nessuno. Non solo i bambini, anche gli adulti. Il prete ci aveva avvisato che la gente era chiusa. Anche durante le feste in oratorio nessuno ci rivolgeva la parola. Mio fratello piccolo mi diceva: “Non voglio più andare in oratorio”. Io gli dicevo: “No, dai, andiamo! Se stiamo solo a casa o con gli altri srilankesi non impareremo mai l’italiano”. Adesso anche in oratorio ho fatto nuove amicizie».
Hai degli amici con cui uscire?
«Sì, ho tanti amici sia del mio paese che della scuola con cui esco regolarmente. La settimana prossima, per esempio, abbiamo un aperitivo con i miei compagni di classe. Ci sono italiani, peruviani, uno dalla Costa d’Avorio e uno dall’Equador. Tutti maschi».
E i tuoi genitori?
«Anche loro vedono qualche amico ogni tanto, ma di solito a casa».
Tu mi hai detto che lavori. Che lavoro fai?
«Avevo chiesto in parrocchia e, sempre la segretaria, mi ha detto che c’era un’agenzia immobiliare che cercava qualcuno per distribuire i volantini. Io ho detto: “Va bene, ci sono!”
Poi due anni fa ho lavorato in un bar nella stazione di Cadorna. Facevo dalle 5.00 di mattina alle 10.30-11.00, cinque giorni a settimana. Ad agosto, il mese che ho lavorato di più, ho ricevuto più di 700€ di stipendio! Poi ho smesso perché non ce la facevo con la scuola serale.
Quest’anno lavoro in una panetteria tutti i venerdì dalle 4.00 alle 12,00-13.00. Otto ore a dieci euro all’ora, con contratto. Lavoro solo una volta alla settimana, così riesco a studiare e a pagarmi le spese, compreso il viaggio in Sri Lanka. Il biglietto costa 800 euro ma d’estate arriva anche a 1200».
In famiglia mio padre lavora otto ore al giorno ma fa anche gli straordinari. Anche mio fratello grande lavora. Si è messo in proprio con un amico.
Invece lo zio che ci ha fatto venire in Italia ora sta in Inghilterra ed è manager della British Airways, mentre il fratello piccolo di mamma sta a Treviglio e lavora in una fabbrica di cibo per animali».
Ti viene in mente un ricordo bello per concludere?
«L’anno scorso, mancavano pochi mesi per finire l’anno. Avevo un compagno del Senegal con alcune materie insufficienti. Io l’ho aiutato tanto, con videochiamate su wapp, soprattutto in Matematica. Siamo diventati amici. Alla fine, è riuscito a prendere la sufficienza. Ho capito che se studi insieme, con gli amici, impari di più, ti entrano di più le idee, i dettagli. Sono andato anche a casa sua per studiare insieme ed è nata una buona amicizia. Quest’anno sono anche andato anche in gita di classe a Roma».