A gennaio era stata convocata l’assemblea dei sindaci per redigere il nuovo Statuto del Parco.
Il consigliere regionale Simone Negri ci parla delle incognite e delle prospettive del nuovo corso per questo importante patrimonio della città
Dopo l’approvazione della Legge Regionale, poco più di un anno fa, che lo riconosceva come ente regionale, a fine gennaio si è svolta l’assemblea dei sindaci per redigere il nuovo Statuto del Parco Agricolo Sud. Con Simone Negri, consigliere regionale Pd ed ex sindaco di Cesano Boscone, parliamo di cosa sta accadendo, oggi, al parco.
Come procede la discussione sul nuovo Statuto del Parco agricolo Sud?
«Tutti i Comuni dovranno votare lo Statuto nei propri Consigli comunali e potranno fare richieste specifiche. Il passaggio è importante e bisogna far sì che non venga solo vissuto come un iter burocratico. Deve essere il momento per ridiscutere complessivamente la politica del parco, riguardo l’agricoltura, l’impatto dei cambiamenti climatici, sul parco di cintura metropolitano come strumento per favorire la mobilità dolce tra città e hinterland. Il risultato al quale tendere è un coordinamento di tutte le istituzioni coinvolte: Comuni, Regione Lombardia, Comune di Milano e Città Metropolitana che deve ritornare ad avere una dignità rispetto al parco».
A che punto siamo con il trasferimento delle competenze da Città Metropolitana a Regione?
«Il parco era scomparso dai radar e solo poco prima del Natale scorso, dopo diversi mesi, la Giunta Regionale ha approvato la delibera che avvia il processo di trasferimento delle competenze dalla Città Metropolitana di Milano a Regione Lombardia e la relazione di tutte le proprietà patrimoniali, delle dotazioni strumentali, finanziarie, economiche e del personale del Parco agricolo Sud. È ovvio che questo lungo periodo di stallo ha finito per ridurre il ruolo del Parco e oggi è difficile definire quali saranno i contorni futuri. Il nuovo ente partirà già zoppo, perché non si capisce dove saranno collocati i punti parco, che fine faranno i dipendenti, se si dovrà ricostituire tutto il gruppo di funzionari e tecnici che vi lavoravano, non si sa neanche quale sarà la nuova sede. Quindi, secondo me, prima di un paio d’anni tutta la macchina non sarà in grado di rimettersi in funzione e questo si annuncia come un enorme problema, anche per le pratiche più banali».
Questa situazione di stallo può rappresentare un pericolo, per quanto riguarda i progetti di infrastrutture che incombono sul parco?
«Assolutamente sì, anche se io sono abbastanza fiducioso che nessuno abbia l’interesse a ritoccare i confini del parco. C’è però un processo, secondo me, altrettanto insidioso che è quello di delegittimazione del parco».
In che modo si può arrivare a delegittimare l’Ente Parco?
«Lo si fa togliendo valore a un’area verde tutelata, lasciando che il degrado avanzi ed eliminando qualsiasi idea di parco che, oltre all’attività agricola, che chiaramente è quella preponderante, sia legato un valore aggiunto a livello ambientale ed ecosistemico. A questo risultato si arriva in vari modi. Negli ultimi anni in Lombardia sono state erose risorse ai parchi regionali, alle aree protette, alle aree tutelate. I parchi regionali avevano una dotazione di 10 milioni di euro, che scenderà a 7 milioni nel 2026. Ciò si è riflesso, ovviamente, anche sul Parco Sud che arriverà quest’anno a 2 milioni mezzo di euro per una realtà complessa che ha una estensione di 47 mila ettari. In più le leggi sui parchi sono confuse, affastellate, sedimentate. In Commissione Territorio ci è stato sottoposto uno studio redatto dal Politecnico che analizza l’attuazione delle leggi regionali sui parchi. Da questo rapporto emerge uno stato disastroso, perché non sono avvenute le fusioni che erano auspicate e le linee di indirizzo sono state disattese. E anche se di fatto gli strumenti per far funzionare i parchi ci sono, i consigli di amministrazione non sono in grado di operare. Pensiamo al Parco Sud, c’è il tema dei rifiuti, degli scarichi, c’è il tema di chi va a cacciare. Ma chi controlla? I sopralluoghi delle guardie ecologiche sono sporadici, i presidi pochissimi, quindi, diciamo che si configura una trascuratezza generale, secondo me, in parte voluta».
A tutto ciò si aggiunge il rischio dell’insediamento di poli logistici, infrastrutture e ora anche degli stadi.
«Specie nei comuni più piccoli, si assiste alla conversione del territorio per aprire i poli di logistica che portano oneri di urbanizzazione per sanare le casse comunali e forse un po’ di lavoro. Il rapporto Ispra sul consumo di suolo mette in luce come nell’area del basso milanese la logistica tenda sempre più a inserirsi e oggettivamente il Parco Sud da questo punto di vista è un argine. Non appena finiscono i confini del parco si cominciano ad avere infrastrutture e oggi abbiamo, oltre alla logistica e ai data center, il pericolo dell’insediamento dei nuovi stadi. In alcuni comuni sono già stati realizzati e parliamo di strutture che arrivano a 100 mila metri quadri. Non c’è solo il tema del consumo di suolo, ma anche quello dell’armonizzazione degli elementi urbanistici nel contesto dove verranno inseriti e lo si vede chiaramente con l’ipotesi dello stadio a San Donato vicino all’Abbazia di Chiaravalle o il percorso previsto per la Toem (Tangenziale Ovest Esterna Milano – NdR) o lo sviluppo sotto Melegnano, Carpiano dove sono in progetto nuove infrastrutture viarie. Quando da sindaco abbiamo rifatto il Pgt di Cesano Boscone, l’urbanista incaricato dal Comune mi ha posto il tema dell’armonizzazione e permeazione del territorio in maniera tale che non fosse così devastante l’impatto degli insediamenti sul confine tra terreno agricolo e zona cementificata. Con i pochi strumenti a disposizione, sviluppammo proprio una politica in questo senso».
Il Parco Sud ha una forte vocazione agricola. Il sostegno all’imprenditoria agricola potrà essere strumento di difesa del parco?
«Dal 1990, data di costituzione del parco, il numero di 700 aziende agricole che gravitano nel parco è rimasto inalterato e questo è un dato importantissimo. Di contro non è stata elaborata una posizione chiara su quello che deve essere il ruolo dell’agricoltura nel Parco. In primo luogo, chi produce deve essere messo nelle condizioni di portare avanti le proprie attività e le proprie cascine in maniera sostenibile anche dal punto di vista economico. Per cui più che forzare sull’applicazione dei regolamenti, ad esempio, sarei per un lavoro di promozione sia del cibo a km zero sia sulla valorizzazione dei prodotti locali attraverso distretti di marchi come, ad esempio, una Dop che ha dei disciplinari precisi di produzione. Invece il Parco Sud si è trasformato in un ufficio tecnico che rilascia pareri e autorizzazioni, a volte con notevoli ritardi, e viene visto di cattivo occhio dagli agricoltori. Se tu sei rigido e continui a dire di no anche alle cose piccole, dai adito a chi invece ha in mente di aprire il territorio alle speculazioni, con il rischio di portare su questa strada anche il mondo dell’agricoltura».