Fino al 29 giugno, da Volvo Studio a Milano, in viale della Liberazione, sono in mostra ventuno tavole disegnate dal fumettista, illustratore, scrittore e architetto Manuele Fior che accompagnano le cover dei romanzi di Giorgio Scerbanenco rieditati da La nave di Teseo.
Nato a Kyiv nel 1911, con il nome di Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, da padre ucraino e madre italiana, Scerbanenco si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano, al seguito della madre. Costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi, praticò molti mestieri, l’operaio, il conduttore di ambulanze, il fresatore, il magazziniere e il fattorino, prima di arrivare al mondo dell’editoria. E sarà questa città una delle ambientazioni più tipiche delle sue opere, con protagonista Duca Lamberti, un ex medico diventato poliziotto.
La Milano di Scerbanenco
Milano è un grosso agglomerato di grandi palazzoni cresciuti in mezzo al nulla dove la periferia pare non avere fine e perdersi all’orizzonte alla ricerca di un’identità ancora lungi dall’arrivare. Una Milano piena di nebbia, che il boom economico degli anni ‘60 sembra aver reso più violenta, dove si muore per pochi spiccioli, con le periferie popolate da meridionali venuti a cercar fortuna, che vivono di espedienti nella palude metropolitana, bande di criminali disposti a tutto scatenate nelle strade, una borghesia ricca e “perbene” che spesso dietro le quinte tira le fila dei vari traffici criminali, e una polizia dura, non di rado disposta a spingersi oltre i limiti della legge. La figlia Cecilia Scerbanenco ha affermato che Fior è riuscito a cogliere “un aspetto della narrazione di mio padre che mi era sempre sfuggito. È il male che si annida dietro l’angolo. Ma c’è anche l’amore, l’unico indefinibile, sfuggente sentimento che può salvarci dal buio dell’esistenza”. La Milano di Scerbanenco, vista con gli occhi di Fior, è ambigua e sfuggente dai contorni sfumati e quindi inafferrabile. È una metropoli ricca in cui si annida il disagio economico. Un posto in cui i grattacieli e le nuove costruzioni si specchiano nel fango delle pozzanghere dei cantieri e dei suoli abbandonati, delle periferie appena costruite, nuovissime e già sporcate dal degrado come nella copertina di Fior per I milanesi ammazzano il sabato, che come dice Cecilia Scerbanenco, sarebbero molto piaciute a mio padre. Una Milano violenta e spietata, dominata dai trafficanti di droga e dal mercato della prostituzione.
L’intervista a Manuele Fior
Abbiamo rivolto alcune domande a Manuele Fior. Nato a Cesena nel 1975, artista di respiro internazionale è uno dei disegnatori più apprezzati in Italia e all’estero. Dopo la laurea in architettura a Venezia, ha vissuto a Berlino per 5 anni alla fine degli anni ’90, poi a Oslo e Parigi, per un po’ in Egitto e in Norvegia. Tra i suoi ultimi lavori è impossibile non menzionare “Celestia” con le vicende ambientate in una città costruita sull’acqua molto simile a Venezia, pubblicato da Oblomov edizioni nel 2019, dove adesso è tornato a vivere.
Si nasce fumettisti?
Chi lo sa? Il mio interesse per il fumetto è nato in tenerissima età: già alle elementari confezionavo piccoli quadernetti a fumetti. Leggevo i fumetti Disney, poi i super-eroi americani e la prima ondata manga, quella di Otomo e Myiazaki per intendersi. Adesso leggo molto i miei colleghi italiani, molti americani e giapponesi e qualche francese. Sempre con gran piacere. Sono molto felice che sia diventato il mio lavoro.
Il tuo modo di lavorare?
Quando inizio a lavorare su un fumetto o un’illustrazione, la prima cosa che arriva prima dei personaggi, della storia, del format, è una sorta di miraggio, un’immagine, poi il lavoro consiste nel riprodurre in maniera più fedele possibile questa immagine iniziale. È importante farne tesoro, rispettarla, cercare di nutrire questa piccola immagine embrionale con spunti, cercare di capire con che tecnica realizzarla, se carboncini, tempere o chine. Non riesco mai a intendere il disegno come esecuzione di uno storyboard, una sceneggiatura. Non sono mai riuscito a lavorare in questa maniera e penso non ci lavorerò neanche mai.
Hai studiato architettura a Venezia, poi ti sei trasferito a Berlino per fare l’architetto. Che rapporto hai con l’architettura e che ruolo ha nei tuoi fumetti?
Nei miei fumetti l’architettura è una parte integrante della narrazione, suggerisce una storia, dei personaggi che la abitano, un’atmosfera molto precisa. Penso all’architettura come a un personaggio silenzioso, che soprassiede alle vicende e le determina. Certo, i fumetti sono un’opera di fantasia e l’utilizzo che faccio dell’architettura nelle mie storie è puramente immaginario, fantasioso. Quello che invece ho sempre cercato di evitare è di fare l’architetto nei fumetti, cioè quello che fa dell’architettura un punto distintivo del suo “stile”. Devo dire che ho sempre tenuto architettura e fumetto molto separati. E’ soltanto adesso che comincio a sperimentare delle possibili contaminazioni che, nella maniera più banale, sono quelle di inserire degli edifici che ho studiato, su cui ho lavorato, nei fumetti. Ma il discorso si può spingere più in là della sola citazione. Il fumetto ha grandi capacità visionarie dalle quali anche l’architettura ha attinto. Crea immagini che possono diventare idea di architettura. Per cui, senza grandi manifesti programmatici, direi che l’interesse per l’architettura sto cercando di riconvogliarlo all’interno delle mie storie non citando semplicemente edifici noti ma anche vedendo se si può fare un discorso sulla città, di descrizione dei cambiamenti della città.
Hai disegnato anche la copertina per la riedizione di “Miracolo a Milano” a cura della Criterion Collection. Raccontaci un po’ di questa esperienza.
Ho sempre amato molto questo film. Anche se è di De Sica, lo trovo molto felliniano… Con Miracolo a Milano giocavo un po’ in casa ed è stato veramente divertente da disegnare perché alla fine è una favola. Avevo già un’idea ben chiara in testa: volevo inserire i personaggi in un cono di luce, riprendendo la scena in cui, vestiti di stracci, i protagonisti del film rincorrono un raggio di sole per riscaldarsi in questo grande campo disastrato e pieno di cianfrusaglie. Nella mia visione il raggio porta calore e colore in un mondo girato in bianco e nero. Se ci pensi, è un’operazione divertente perché per restituirlo a questa dimensione a colori ti devi immaginare come poteva essere la realtà di quell’immagine ai tempi in cui è stata girata.
La Milano di oggi?
Vedo troppi abbattimenti insensati di abitazioni d’epoca. Si susseguono incessanti senza che nessuno possa intervenire per bloccare demolizioni che trasformano radicalmente Milano per lasciare il posto a un nuovo complesso residenziale. Nella scarsa considerazione generale Il rischio è di farne una città senza memoria, preda della speculazione edilizia più becera Per fortuna c’è sempre il Grattacielo Pirelli, capolavoro assoluto di Giò Ponti ed edificio all’avanguardia per i canoni estetici dell’epoca e per l’impiego innovativo di materiali. Inaugurato nel 1960 viene pensato da Giò Ponti come una forma finita, composta da “materiali incorruttibili”, quali alluminio, acciaio inossidabile, cristallo, ceramica, mosaico. Diventa da subito il simbolo della nuova immagine di Milano, espressione del dinamismo della grande imprenditoria manifatturiera lombarda e del boom economico italiano del dopoguerra. Un “cristallo”, così lo definisce Giò Ponti, incastonato tra i palazzi del nascente centro direzionale milanese. Gli architetti che l’hanno progettato avevano una potenza visionaria che quando la guardiamo oggi ci parla di cose che non sono ancora avvenute, di un futuro che non è ancora accaduto. Ma Milano e i suoi ambienti sono i veri protagonisti dei romanzi di Scerbanenco: che trasudano di odio, d’amore e di una violenza talora efferata.
Manuele Fior La nave di Teseo Volvo Studio Milano
Dove Scerbanenco ambientava i suoi gialli |
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Città Studi è il quartiere in cui Scerbanenco ambienta alcuni dei suoi romanzi: il Politecnico e la sua piazza, via Pascoli, via Plinio, piazza Carlo Erba. Negli anni ’60 era ancora l’estrema propaggine della città borghese che si insinuava nelle periferie operaie, nel regno di fabbriche e officine come anche del crimine organizzato. Perché quello era il luogo di Milano dove Scerbanenco aveva passato buona parte della sua vita. In piazza Leonardo da Vinci 10, all’angolo con via Pascoli, si trova l’appartamento dove abita Duca Lamberti, il suo personaggio più famoso e amato. Nella vita reale qui Scerbanenco si recava in segreto a trovare una donna molto amata, e che ritroveremo in molte delle sue storie. Percorrendo il tratto alberato di via Pascoli, arriviamo in piazza Carlo Erba, dove sorgeva la vecchia Rizzoli, in cui Scerbanenco lavorò per quasi vent’anni. Da qui, infilando via Plinio, ripercorrendo i passi di Duca Lamberti in “Venere privata” si raggiunge il bar Basso, dove incontra per la prima volta Livia Russo, la donna di cui si innamorerà in modo maledetto e tragico. Con la sua insegna rossa dai caratteri rétro, gli interni in boiserie e i lampadari di cristallo. |