Il linguaggio e le sue ambiguità come strumento di potere e di manipolazione della realtà, il racconto di un amore che si fa cronaca di un femminicidio
È stata davvero una gioia ritrovare in scena al Teatro Carcano Lella Costa, straordinaria affabulatrice, che ha riproposto, dopo 24 anni, il suo monologo OTELLO, di precise parole si vive, ispirato a una delle più celebri tragedie shakespeariane, preservando intatta la sostanza narrativa ma intervenendo e modificando alcune parti senza forzature che si prestavano a trattare temi contemporanei, come l’immigrazione, le disuguaglianza e i femminicidi.
Con la sua immutata voglia di provocare con sapiente leggerezza e di capire con l ‘intelligenza del cuore, chi siamo, cosa ci sta succedendo: “Si vive di precise parole e di grande teatro”, cantava Ivano Fossati nella canzone Discanto ed è proprio da lui che è partita Lella Costa. Su una consapevolezza che ha il sapore della dichiarazione di intenti, condivisa con il regista e co-drammaturgo Gabriele Vacis.
Abbiamo sempre pensato che fosse la tragedia della gelosia. L’Otello è invece anche tragedia della parola: che non illumina ma nasconde, confonde, istiga, semina odio. È attraverso le parole, come ci dice Lella Costa raccontando l’Otello di Shakespeare, che si consuma la tragedia del Moro di Venezia. Bastano poche parole e la macchina si mette in moto. La parola costruisce i sentimenti, determina l’agire dei personaggi.
Mai come nell’Otello, Shakespeare mostra l’importanza del linguaggio e delle sue ambiguità come strumento di potere, di manipolazione della realtà. Ogni destino, in questa tragedia, si compie attraverso la parola. Desdemona si innamora dei racconti di Otello sul proprio passato. Otello crede con semplicità a ogni parola che pronuncia e ascolta, e conosce la gelosia, il mostro dagli occhi verdi, grazie alle parole di Iago. L’onesto Iago, come si autodefinisce, sottomette tutti, anche sé stesso, alle proprie parole inventate o soltanto insinuate, gioca e naviga nelle parole, ne fa un’arma, le usa abilmente e astutamente per manipolare e conseguire i suoi malefici scopi mossi dall’invidia. Sa come raggirare l’uomo di cui vuole la rovina, gli basta ben poco per instillare il dubbio, per far credere che il bel Cassio, uomo fidato di Otello, e Desdemona siano amanti. Iago parla per frasi fatte, corte, rapide, ripetitive. É un affabulatore, un cialtrone, un farabutto. Otello invece si esprime in una lingua non sua, che ha imparato, che rispetta. Parla piano, lentamente, racconta la sua vita passata, i suoi patimenti.
E il grande teatro di cui si vive è anche quello che fa lei, Lella Costa sola sul palco, come sempre, di bianco vestita con grazie ed eleganza, Incalza a tutto campo, marcando il palcoscenico con la sua prodigiosa presenza scenica, calandosi in tutti i personaggi, punteggiando il racconto di sottolineature ironiche, che portano a una risata che scatena il pensiero, tra una cadenza in dialetto veneto e parodiando il rap di Mahmood. La parola danza e volteggia, accelera, una dietro all’altra, senza punteggiatura si fa lieve come una tenera carezza.
Il velamento del linguaggio
Di strabiliante bellezza la scenografia di Lucio Diana. Lunghi veli bianchi a simboleggiare il velamento del linguaggio, il non darsi mai nella sua totalità e compiutezza. Veli bianchi che ondeggiano e si trasformeranno, grazie anche alle belle luci di Roberto Tarasco, nelle vele delle navi veneziane in partenza per difendere Cipro dai turchi, nei candidi abiti della dolce Desdemona, nei sontuosi tendaggi del rigoroso palazzo del Doge, nelle lenzuola immacolate della prima notte d’amore, e contro cui l’attrice si staglia, bianca su bianco, per strapparle alla fine in un gesto disperato. Per concedere alla verità di Desdemona di svelarsi: muoio innocente. In un finale emozionante.
Non soltanto narratrice, affabulatrice, Lella Costa ci regala l’incantesimo di una grande prova attoriale nel monologo di Desdemona. È stata convocata nella stanza nuziale da Otello e sa che cosa succederà. Non si difende dalle accuse, si lascia trascinare al compimento della tragedia. Remissiva, dolente, incredula, subisce. Pur innocente, non si oppone. Ha il presentimento che il suo grande sogno di amore per il Moro di Venezia costì tanto forte da sfidare le convenzioni sociali sia terminato e distrutto e si ritrova senza “più parole”.
E il racconto diventa cronaca di un femminicidio. Un uomo che uccide una donna. Lella Costa raggomitola i teli. Mestamente. Incredula, come noi di fronte a questo ostinato amore per Otello, anche in punto di morte. Si fa buio sul palco. Gli applausi scroscianti sono la dichiarazione d’amore del pubblico, in tutte le serate appena concluse (16-21 aprile). Presente numerosissimo, mentre volteggia nell’aria il celebre brano degli anni 50 Que Sera, Sera,Whatever will be, will be (Sarà quel che sarà).