Stadera Design District. Community di persone creative, soprattutto donne, per valorizzare l’identità del quartiere nel Municipio 5

«Dall’unione della forza è nato lo Stadera Design District» Ce lo racconta Carolina Amoretti di Fantastudio, atelier-laboratorio e studio creativo di comunicazione nel quartiere Stadera.

Di Isa Bonacchi

Stadera Design District. Dietro la vetrina un salottino dai colori pastello, con due poltrone Piazzesi anni Ottanta, un tavolo di Vico Magistretti e sulla parete la scritta Here to make you feel fantastic, per farti sentire fantastica. Alle spalle, lo studio vero e proprio con cinque postazioni a cui lavorano giovani creative. Fantastudio, l’atelier-laboratorio e studio creativo di comunicazione, fondato da Carolina Amoretti, è tutto qui, in 60 metri quadrati al 33 di via Francesco De Sanctis, allo Stadera.

Ed è qui che è nata l’idea di far debuttare il quartiere al Fuorisalone 2024: «Volevo valorizzare il territorio in cui abito da 18 anni, dal mio arrivo a Milano – racconta Amoretti, 36 anni, di Imperia, fotografa, designer, creativa a 360 gradi -. Il mio Fantastudio è nato nel 2021 non solo come laboratorio dove fra l’altro disegno Fantabody, il mio brand di costumi da bagno e bodysuit, ma anche come luogo di incontro per una community di persone creative, soprattutto donne».

«Mi è venuto spontaneo estendere questo concetto, con forti valori di inclusività e supporto, a tutto il quartiere, ricco di bellissime realtà non solo creative, ma anche storiche e umane, di cui nessuno parla. La mia idea: creare connessioni per valorizzare l’identità dello Stadera, che è forte e deve essere scoperta e rafforzata». Per poi, magari, essere conosciuta e apprezzata in tutta la città». 

(foto: Carolina Amoretti nell’atelier-laboratorio di via De Sanctis)

Carolina ha cominciato dai suoi conoscenti, chiedendo semplicemente: «Vuoi esserci anche tu? Basta che tu tenga aperto il tuo negozio durante il FuoriSalone perché la gente, passeggiando, lo scopra». Lo Stadera Design District è nato così, senza sondaggi di marketing né investimenti milionari, con una connessione di quartiere.

Alleanza

E l’aiuto di pochi amici molto creativi: Laura Baiardini, Michela Vietri e i ragazzi di Giallo Studio. La prima ad aderire è stata la talentuosa designer Sara Ricciardi, seguita da Gentucca Bini, architetto e designer di moda e di interni, già molto nota a Milano, che ha scelto proprio l’ex fabbrica della Superga in viale Giovanni da Cermenate per farne casa e bottega, trasformandola in un megaloft di gusto rigoroso. Gli altri hanno seguito, forse più per amicizia che per convinzione. Ma Carolina è perentoria: «Alla base di tutto c’è una parola chiave: alleanza. Io ho soltanto copiato i licheni, simbiosi di un fungo e di un’alga, organismi meravigliosi, capaci di sopravvivere nei luoghi più inospitali». 

L’unione fa la forza, insomma: la designer non è nuova alle iniziative collettive di grande richiamo: suo per esempio il progetto del murale mangia-smogCura Stadera“, più di 100 mq in via Savoia 2, realizzato con una pittura speciale e inaugurato nel 2022 «per sensibilizzare gli abitanti del quartiere alle pratiche virtuose… che hanno un impatto nelle nostre strade fino ad arrivare agli oceani, i polmoni del pianeta».

Un forte contenuto di inclusione sociale anima tutte le sue realizzazioni: «I miei costumi di bagno, in tessuti italiani di prima qualità, sono studiati per valorizzare il corpo femminile», spiega: tagli asimmetrici e sapienti cut out creano linee sinuose e avvolgenti: «Ogni donna deve sentirsi a suo agio nel proprio corpo e viverlo serenamente, credendo nelle sue potenzialità senza nasconderne le imperfezioni».

Stadera: laboratori negli scantinati, botteghe al piano strada

E allo stesso modo l’evoluzione dello Stadera Design District – già numerose le richieste di partecipazione per le prossime stagioni – includerà anche luoghi iconici nella vita sociale del quartiere: come il Club Davide, il bar dove ci si incontra per l’aperitivo e si ascoltano – se è in vena – i racconti del proprietario, di quando «tutta la zona era famosa per le pelletterie: negli scantinati i laboratori dove si lavoravano le pelli, al piano strada le botteghe per la vendita». Un modo, anche questo, per tenere vivo il passato e non sentirsi mai soli.

 

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