La vita drammatica della scultrice Camille Claudel, in scena in “Moi” alla Sormani il 19 luglio

L'attrice Lisa Galantini, in "Moi".

Nell’ambito della quinta edizione di Menotti in Sormani, la rassegna organizzata dal Teatro Menotti, nel cortile d’onore di Palazzo Sormani (corso di Porta Vittoria 6, Milano) venerdì 19 luglio alle ore 19,30 va in scena il monologo MoiI, dedicato a Camille Claudel di Chiara Pasetti, con Lisa Galantini, regia di Alberto Giusta.

L'attrice Lisa Galantini, in "Moi".
L’attrice Lisa Galantini, in “Moi” il monologo sulla vita di Camille Claudel.

La storia della scultrice Camille Claudel (1864-1943) è avvincente e drammatica, ma purtroppo ancora poco conosciuta in Italia. Di eccezionale talento, frequentò l’Accademia Colarossi a Parigi dove incontrò Auguste Rodin, diventando sua allieva e modella, ma anche sua amante in una relazione tormentata. Nonostante il successo, Camille si isolò progressivamente, conducendo una vita solitaria. Nel 1913, dopo la morte del padre, venne internata in una clinica psichiatrica su richiesta della famiglia, e trascorse il resto della sua vita in manicomio, morendo sola e dimenticata nel 1943. Solo negli anni Ottanta le sue opere sono state riscoperte e valorizzate, culminando nell’apertura del Museo Camille Claudel a Nogent-sur-Seine nel 2017.

«Ci sono voluti decenni perché Camille Claudel uscisse dallo stereotipo di allieva talentuosa e amante di Auguste Rodin e venisse riconosciuta nella sua originalità e specificità», puntualizza Chiara Pasetti, novarese, scrittrice, drammaturga. Ha pubblicato recentemente Mademoiselle Camille Claudel, per le edizioni Aragno che contiene anche il testo dello spettacolo “Moi”.  Forse non avremmo saputo mai nulla se un professore di Storia, facendo ricerche sul più noto fratello, poeta e diplomatico, Paul, non si fosse incaponito sulla vicenda tragica della sorella, occultata dalla famiglia… La sua vicenda mi turbò nel profondo, mi indignò, mi sconcertò. Le parole sono l’unico strumento che abbiamo per restituirle quello che, in vita, non ha mai avuto».

Arte e follia: il binomio viene riproposto in continuazione. Camille Claudel era davvero pazza? Quello su cui il suo libro e lo spettacolo che ne è stato tratto invitano a riflettere è proprio la definizione della pazzia.

«Rispondendo alla sua domanda, il primo pensiero a venirmi in mente è che Camille Claudel appartiene alla schiera di quelle donne “condannate” per quell’anticonformismo pericoloso, fastidioso, da derubricare a disturbo psichico, a disagio comportamentale. In un’epoca in cui alle donne non veniva concesso il “lusso” di scegliere la propria vita, Camille sconta il delitto di avere voluto vivere libera. La famiglia decide di farla internare, perché questa donna, troppo “moderna” per l’epoca, è l’onta della casa. La scultura, allora era per una donna uno scandalo». 

Perché il titolo “Moi”?

«Il titolo che ho scelto per il mio libro, e per lo spettacolo che ho portato in scena, è un altro rimando alla consapevolezza di sé, del talento che l’artista aveva. Camille rispondendo alla domanda qual è il tuo artista preferito disse semplicemente “Moi”. Inizia da bambina a modellare l’argilla di Villeneuve, quella stessa argilla utilizzata dagli operai del posto per costruire le tegole delle case. Il padre, il solo in famiglia che ne intuisce e sostiene la vocazione, fa trasferire la famiglia a Parigi per consentirle di frequentare i corsi dell’Accademia Colarossi, l’unica aperta alle donne, dove frequenta i corsi dello scultore Alfred Boucher. Al Salon del maggio del 1882 Camille, allora diciassettenne, espone per la prima volta un busto di vecchia in gesso: la modella era l’anziana domestica di casa Claudel. Successivamente va a vivere con due amiche, per lo sdegno e forse anche il sollievo di sua madre. È il primo vero distacco dalla famiglia. Sarà proprio Boucher a presentare Camille ad Auguste Rodin».

Fu un amore appassionato e feroce, fin dal primo incontro. “Ti amo con furore”, le scrive, “non posso passare un giorno senza vederti, diventerei pazzo”. 

«Scolpiscono insieme e la loro passione emerge prepotentemente dalle sculture, raffiguranti spesso coppie di amanti nudi. Ma l’allieva del grande maestro trova una cifra totalmente indipendente e scolpisce opere di sublime bellezza. La relazione avrà un epilogo tragico. Rodin non sposerà mai Camille e nel 1893 Camille lascia Rodin. Ma ne uscirà devastata emotivamente. 

Auguste Rodin e Camille Claudel
Gli scultori amanti Auguste Rodin e Camille Claudel.

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