Dimentichiamoci la modernità patinata e le mille luci scintillanti della New York che non dorme mai: si compie un salto indietro di quarant’anni, nel pieno degli anni Ottanta, sospinti da una nuova sceneggiatura che si gioca sul duplice livello delle problematiche familiari attraverso la lente del “fanta-thriller” e la decadenza di una metropoli in crisi, colpita dal flagello dell’Aids, l’emarginazione, le tossicodipendenze e i rapporti umani mal vissuti.
È Eric, produzione di sei puntate per la regia di Lucy Forbes, la sfida di un copione che, giocando fra più generi e situazioni, produce un fantasy moderno, in cui Vincent, interpretato da Benedict Cumberbatch, è il protagonista burattinaio e capocomico di un programma televisivo che non va, con matrimonio in crisi e un figlio, Edgar, di nove anni, anch’egli in crisi per l’indifferenza e la disattenzione del padre.
La scomparsa di Edgar è la causa di un lungo viaggio interiore fatto di emozioni e allucinazioni con Vincent che trova in Eric non solo un semplice pupazzo del mestiere, ma un autentico amico immaginario, che è la voce, irritante e forse troppo irriverente, della sua coscienza.
Da qui comincia un percorso alla ricerca di una seconda occasione, per strade e ghetti, fra momenti offuscati dall’alcol e le droghe, nei quali Eric dovrà fare i conti con il proprio passato mentre la città va a rotoli fra vagabondi, clochard, sindaci corrotti, case occupate e scambi atroci di partite di droga e prestazioni sessuali, intorno a uno dei locali notturni più famigerati. Classico girone dei dannati nel quale si perde anche l’esistenza travagliata del detective Ledroit, co-protagonista efficace nel portare in scena i propri disagi, fatti di omosessualità celata e discriminazioni subite anche nei posti di lavoro.
Ci troviamo all’interno di una regia e di un percorso narrativo dove gli stereotipi e i simboli degli anni Ottanta si sprecano. Nulla che forse non abbiamo già visto nelle nostre esperienze cinefile, ma di sicuro mai raccontate dal contesto “fintamente” consolatorio di un burattinaio e le sue sit-com commoventi e dolci per le famiglie modello, che sono esattamente il contrario della vita del protagonista. Un altro paradosso tipico di questi anni.
Nella sua estrema durezza psicologica, Eric rimane quindi un’opera sincera e profonda, fra le più sofferte e morbose di questa annata di Netflix, che ci regala uno spaccato di un tempo storico, che per fortuna o purtroppo non tornerà mai più.
Un titolo sul quale avremmo scommesso ben poco ma che è riuscito a emozionare, stupire e indignare, grazie anche alla performance di un ormai veterano dei ruoli forti come Cumberbatch, l’indimenticato interprete di Hawking, Il quinto potere e The imitation game. Un volto ipnotico con un’espressività piacevolmente inquietante che è una garanzia per una storia come questa.
Tornando alla serie, riuscirà il nostro eroe a ritrovare sé stesso e recuperare la sua dignità? Questi sono i pochi interrogativi di un capitolo cinematografico interessante che merita di essere guardato con la stessa pazienza e curiosità di chi si sottopone alla risoluzione di un enigma esistenziale. Agli spettatori la scelta e il giudizio finale.
Simone Sollazzo