“Invelle” il non luogo dei ricordi nel cinema d’animazione di Simone Massi

Arriva nelle sale italiane  Invelle, il primo lungometraggio diretto da Simone Massi (che firma anche  il soggetto, i disegni, la sceneggiatura, i dialoghi e il montaggio), uno degli autori più originali e apprezzati del cinema d’animazione (premiato dalla critica in numerosi festival internazionali, un David di Donatello e vari Nastri d’argento,  l’ultimo nel 2023  con  la video poesia  In quanto a noi,  con voce narrante il grande regista Wim Wenders e il corto A guerra finita, un omaggio d Gino Strada).   È Il suo primo lungometraggio di animazione, vincitore del Premio Carlo Lizzani nella sezione Orizzonti all’80ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2023)

La storia  racconta la transizione dall’Italia rurale a quella industriale, fondendo il quotidiano con il tragico per evocare il tumulto emotivo e storico dell’Italia del Novecento. In un piccolo paesino dell’entroterra marchigiano,  tre storie di altrettanti bambini: Zelinda, che durante la Prima Guerra Mondiale rimane orfana di madre a causa della “Spagnola” e vede avvicinarsi lo spettro del Nazismo; Assunta, che vive l’occupazione nazista, tra bombe, rastrellamenti e fucilazioni; Icaro, che nel corso degli Anni di Piombo abbandona la campagna e  va a vivere in città. Con un cast eccezionale di voci: Marco Baliani, Ascanio Celestini, Mimmo Cuticchio, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Giovanna Marini (poco tempo dopo venuta a mancare, ndr) Achille Massi, Gemma Massi, Toni Servillo, Filippo Timi.

Massi, marchigiano “resistente”

Marchigiano, di Pergola (in provincia di Pesaro e Urbino), classe 1970,  (dopo l’esperienza del lavoro come operaio in officina, ha studiato Cinema di animazione alla Scuola d’arte di Urbino) Massi  si  definisce un ‘resistente’, perché  resiste e fa  cinema di animazione da solo, senza padroni e padrini, senza soldi, con l’orgoglio di chi si rifiuta di assecondare l’aria del tempo,  perché non cede al digitale e alla velocità che oggi regna.

“Ho cercato un tipo di tecnica che sporcasse le mani. Che mi affaticasse, e mi portasse la sera a dormire con la stessa fatica di chi è stato dodici ore in fabbrica”, ha dichiarato. 

Massi non è solo un regista: è un custode di storie perdute, un poeta visivo che ci sfida a ricordare ciò che spesso scegliamo di dimenticare. «L’essenziale è ritrovare un brandello di memoria. Se mi guardo intorno vedo tanti autori che raccontano il presente. Pochi hanno voglia di scavare, di capire cosa abbiamo alle spalle».

Invelle, in nessun posto

Invelle, in dialetto marchigiano, significa “in nessun posto.” «Da bambino vedevo mio padre uscire di casa e gli chiedevo “Dove vai, babbo?” e spesso la risposta era “Invelle”, come a dire qui fuori, quattro passi intorno a casa. e in qualche modo “Invelle” è il non-luogo – dei ricordi, della memoria, dell’identità. Un non luogo da cui la Storia con la maiuscola ha preso e preteso tutto quello che voleva e poteva. In cambio abbiamo avuto le storie con la minuscola, quelle che o le tramandi a voce oppure si perdono”, ha raccontato il regista.

Tra isolamento e invisibilità

Con solenne semplicità, la  sua animazione è pura poesia, evocativa eppure intimamente realistica. Massi costruisce un linguaggio visivo poetico  e vibrante  in una dimensione sospesa tra sogno e realtà, fra radici e  la fantasia  di un altrove. Ecco, in Invelle il vero e il falso si alternano, si mischiano, si impastano, diventano una cosa sola,  nella bicromia predominante, quel contrasto tra il nero e il bianco,  di un isolamento e di un’invisibilità, interrotta solo da lampi improvvisi di colore, per segnare momenti di rottura e resistenza (a partire dal foulard rosso che contraddistingue Zelinda) e nel rosso di una bandiera.  Le  conquiste e le ferite. Nel fluttuare del vento della Storia. 

Ottantamila fotogrammi  graffiati a mano col puntasecca

Ben ottantamila fotogrammi  graffiati, disegnati a mano, a matita uno per uno,  come sempre, con un pugno di collaboratori  utilizzando una particolare  tecnica che prevede di grattare con una puntasecca  e altri strumenti incisori le figure precedentemente delineate su carta tramite pastelli a olio, con due stesure di colore, prima il bianco poi il nero. Casolari, querce, campi lavorati, bambini e colline. E animali. «Disegno uomini e donne che non ci sono più, un mondo che non c’è mai stato. Forse per questo ci sono tanti spazi vuoti, neri pesanti, malinconia e solitudine. Mi interessa uscire dal meccanismo del tempo e dello spazio, avvicinarmi al sogno, al pensiero e al ricordo. Provo  nei confronti dei contadini una profonda ammirazione, nostalgia e gratitudine. Sono stati capaci di imprese incredibili, a costo di privazioni e sofferenze di ogni tipo e pensando esclusivamente ai figli. Le generazioni che ci hanno preceduto sono state letteralmente eroiche».

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