Gli spunti di riflessione offerti da Gaza, il libro di Gad Lerner dedicato alla questione israelo-palestinese.
Una testimonianza che non fa sconti né alle politiche scellerate, da decenni, della destra israeliana, né alla tentazione di offrire ad Hamas alibi politici. Se l’imperativo è fermare subito la strage di innocenti, l’impegno a lungo termine deve essere capire e sconfiggere gli assolutismi, radicati nelle popolazioni e fra i giovani, per costruire davvero una pace duratura.
Gaza, il libro che Gad Lerner non voleva scrivere, è invece un libro necessario. Lui stesso, alla fine, ringrazia l’editore, Carlo Feltrinelli, per averlo convinto a provarci.
Una volta tanto è proprio l’autore, più ancora che il tema, a certificare l’importanza della lettura. Ebreo, sionista («difendo il diritto all’esistenza dello stato di Israele») e al tempo stesso da sempre impegnato a sinistra, dall’esperienza in Lotta Continua nella politica, fino alla carriera all’Espresso, poi a La 7 e alla Rai nel giornalismo (ha diretto il Tg1); soprattutto da sempre vicino alle ragioni del popolo palestinese: Gad Lerner è uno dei rari intellettuali e professionisti dell’informazione collocati al di là di ogni ragionevole dubbio in una posizione emotivamente “equidistante”, dove l’analisi è di testa e non di pancia. Si può dissentire, ma non si può tacciare o sospettare di faziosità. Non a caso il sottotitolo, in copertina, è Odio e amore per Israele.
Un sogno che gli errori trasformano in un mostro
L’amore sta nella stessa biografia di Gad, una denominazione di origine: nato a Beirut nel 1954 da genitori ebraici, nipote di una vittima della Shoah, si dichiara profondamente convinto delle qualità progressive del sionismo originario, della “tolleranza ebraica”, soprattutto quella degli ebrei della diaspora, di cui parlava Primo Levi, in qualche modo tradita dall’intolleranza della destra di Benjamin Netanyahu (molto interessanti i brani di una vecchia eppure attualissima intervista all’autore di Se questo è un uomo, secondo cui Israele avrebbe dovuto “cautamente ma decisamente” perseguire il ritiro dalla Cisgiordania e da Gaza).
L’odio, appunto, è invece rivolto all’incredibile accumularsi di scelte politiche scellerate, nel corso dei molti decenni, che oltre ad aver seminato discriminazioni, colonizzazioni indebite e ingiustizie, quando non morte e distruzione come a Gaza, hanno finito con il nuocere gravemente proprio alla causa di Israele, mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza, fornendo continua energia a un terrificante generatore di terrorismo, favorendo il compattarsi di un’opinione pubblica araba ferocemente ostile, e infine facendo tabula rasa di aperture e possibilità di dialogo. In definitiva una tragica impasse che non riguarda solo i rapporti fra Israele e il mondo islamico nella sua variegata articolazione: piuttosto è un buco nero capace di risucchiare l’intero Occidente, con le sue democrazie fragili e imperfette. La spada di Damocle dell’allargamento del conflitto, della degenerazione planetaria, è sempre lì, sulle nostre teste.
Netanyahu e Hamas due facce della stessa medaglia
Ma, detto questo, Gad Lerner affronta senza remore il problema delle “tifoserie” (suo il termine) che si sono formate (e rinvigorite, allargate) dopo l’attacco terroristico su larga scala di Hamas del 7 ottobre e la conseguente reazione israeliana. Se ci dev’essere un diritto a criticare Israele senza essere tacciati di antisemitismo, ci dev’essere un diritto a condannare apertamente il terrorismo di Hamas, l’oscurantismo fondamentalista, o l’assenza di democrazia, senza essere tacciati di essere contrari alla causa palestinese, ovvero alla rivendicazione speculare dei palestinesi di avere un proprio suolo e di autodeterminarsi.
«La lugubre popolarità di cui gode Hamas dacché il suo popolo è divenuto oggetto di una vera e propria carneficina – scrive Gad Lerner – non mi ha certo fatto cambiare idea. Resto convinto che Hamas sia una serpe in seno nata e cresciuta fra i palestinesi, capace di esaltarli mentre li conduce alla rovina (…)Partigiani gli uomini di Hamas? Per favore, non denigriamo la Resistenza contro il nazifascismo, nessuna brigata partigiana si sarebbe mai accanita in quel modo su donne, vecchi e bambini (il riferimento è alla definizione usata dal premier turco Erdogan, ma anche agli slogan a favore di Hamas echeggiati in un corteo pro Palestina, a Milano, cui Gad Lerner ha partecipato, ndr)».
Genocidio o non genocidio? Non è questo il problema
La carneficina operata dall’esercito israeliano a Gaza è un “genocidio”? Il massacro dei bambini e delle madri è tecnicamente un “genocidio”? Per quanto abbia avuto del grottesco la polemica sul significato del termine, quasi cinicamente “accademica”, salvo che per l’accanimento nei toni, Lerner non si sottrae alla domanda: «Non vibro di indignazione quando sento i palestinesi così come i ceceni e i curdi far ricorso al termine “genocidio” per enfatizzare la condizione disperata in cui si trovano. Provo anzi comprensione nei loro confronti, così come la provo nei confronti degli immigrati che si immedesimano in quella popolazione di senza casa e senza diritti. In sintesi trovo sbagliato adoperare la parola ‘genocidio’ ma credo che abbiamo già perso questa battaglia culturale. Il che non deve significare smettere di confrontarci con chi si è abituato a farne uso». Così Ghali, il rapper tunisino cresciuto a Baggio, quando al Festival di Sanremo ha gridato “Stop al genocidio” non proponeva “comparazioni storiche con la Shoah. Stava solo dicendo a modo suo: “Smettetela di ammazzare la mia gente, perché è in quella gente che la sua stessa biografia lo portava naturalmente a identificarsi».
Le parole proibite di una nuova Babele
E poi ci sono altri termini su cui le “tifoserie” faticano a mantenersi lucide (un capitolo è dedicato alle “parole proibite”). Ad esempio il già citato antisemitismo: nel denunciarne l’innegabile ritorno, bisognerebbe guardarsi, avverte Lerner, «dall’abuso di tale accusa, rivolta a destra e a manca con troppa disinvoltura. Siamo chiamati a fare i conti con una generazione che non colpevolizza gli ebrei in particolare, ma l’intero Occidente (…) Non sarà difficile intuire perché un ragazzo tunisino, pachistano, o anche latinoamericano possa provare sentimenti di immedesimazione nella sorte dei palestinesi bombardati, in fuga, perennemente profughi e dannati della Terra». Anche la definizione di sionista non può essere lanciata come un insulto, se non da chi vorrebbe sostenere la cancellazione totale dello stato ebraico “from the river to the sea”, dal fiume Giordano al mare, magari inneggiando al giorno della barbara strage del 7 ottobre 2023 come “la data di una rivoluzione” (dal post nei giorni scorsi su Instagram a firma di un gruppo di “Giovani Palestinesi”).
Se questi che abbiamo sintetizzato sono a nostro avviso i tratti fondamentali del libro, innumerevoli altri sono i contributi utili a spiegare, a fare chiarezza, a sgombrare il campo da approssimazioni e luoghi comuni, con excursus storici alle radici dei problemi e innumerevoli citazioni. Compresi gli accenni a due personaggi che si distinguono per l’originalità delle loro posizioni, ben noti nel panorama milanese: l’attore e musicista ebreo dissidente Moni Ovadia, e il giornalista di origine libica Farid Adly, già conduttore di Radio Popolare e fondatore della newsletter quotidiana Anbamed, nel testo definita “eccellente, unica nel suo genere”.
Non ci sarà soluzione senza accordi solidi
Sta di fatto che – osserva Lerner in conclusione – se in ognuno dei due popoli dovessero prevalere le convinzioni politiche e religiose semplicemente contrarie in assoluto all’esistenza e all’affermazione dei diritti dell’altro (e queste convinzioni esistono tanto fra i palestinesi quanto fra gli israeliani), la questione israelo-palestinese sarebbe semplicemente senza soluzione. Nonostante le difficoltà, nonostante le stragi di innocenti (che si vogliano o no chiamare genocidio), la parola d’ordine “Due popoli, due stati” resta, a parere di Gad Lerner “il modo più chiaro di sancire il diritto all’esistenza di Israele e il riconoscimento di uno stato dei palestinesi”.
Suggestivo il richiamo a una proposta di Raniero La Valle (classe 1931, ex senatore, storico pacifista cattolico), che nel 1988 divenne risoluzione «approvata in Parlamento all’unanimità, sottoscritta fra gli altri da Giorgio Napolitano, Stefano Rodotà, Margherita Boniver, e fatta propria anche da Giulio Andreotti, allora ministro degli esteri. La risoluzione prevedeva l’ingresso simultaneo di Israele e del nascituro stato di Palestina all’interno della Comunità europea dell’epoca». Un unico ordinamento fuori dalle frontiere dei singoli stati, un’Europa che si offre come garante di un futuro di pace, di fatto facendo sbiadire le linee dei confini nazionali. Per La Valle la proposta è ancora valida. Lerner non dice di no. È un’ipotesi che guarda troppo avanti? Può darsi. Ma tentare nuove strade sembra inevitabile, con la certezza che l’unica da non percorrere, per l’Occidente e per l’Europa, è quella dell’indifferenza, che invece sembra sempre riaffacciarsi non appena tacciono le armi. Ma qualunque sia il cammino, per fare passi avanti a breve e a lungo termine, la ricerca a oltranza del dialogo e della trattativa è imprescindibile, per quanto oggi possa sembrare un’utopia.
di Saverio Paffumi