Il Cadmi di via Piacenza, con il progetto “Orphan of femicide invisible victim” pone lo sguardo su chi resta, figlie, figli e caregiver, mappando la presenza e le esigenze di chi di fatto perde entrambi i genitori, quello che ha ucciso e quello che è morto
C’è una strada, a Milano Sud, che custodisce un luogo sicuro in cui le vittime di violenza maschile possono trovare ascolto e fiducia. Si tratta di via Piacenza, nel cuore della zona di Porta Romana. Al civico 14 ha sede il Cadmi, Centro aiuto donne maltrattate. Uno spazio dove costruire nuovi orizzonti e, in molti casi, tornare a vivere.
Qui, tra mura accoglienti e sguardi non giudicanti, grazie al progetto Orphan of femicide invisible victim (Orfani di femminicidio vittime invisibili) si offre supporto anche ai figli e alle figlie delle donne uccise in quanto donne. Una realtà che non può più essere ignorata.
Associazioni come Cadmi combattono ogni giorno contro il silenzio: dietro a un orfano di femminicidio ci sono bambini e bambine, adolescenti e giovani adulti che hanno assistito, a volte per anni, ai soprusi dell’assassino della madre. Spesso quella persona è il padre. Hanno subito le conseguenze di urla, schiaffi, umiliazioni e violenza economica, con ricadute sul proprio processo di sviluppo cognitivo e relazionale.
Cadmi, grazie a un’equipe multidisciplinare, pone lo sguardo su chi resta, caregiver compresi, organizzando percorsi di sostegno in ambito psicologico, legale, educativo e professionale. I destinatari dell’intervento, oltre alle famiglie affidatarie, hanno un’età compresa tra gli 0 e i 21 anni.
I (pochi) dati del fenomeno
Mentre giornali e salotti televisivi costruiscono interi servizi sulle donne uccise e i loro assassini, degli orfani di femminicidio si sa ben poco. Sono però loro a fare i conti con le accuse mediatiche del “se l’è cercata”, “era una poco di buono”, “poteva denunciare e ribellarsi”.
Secondo i dati del Viminale, tra l’1 gennaio e il 20 ottobre 2024 sono stati registrati 89 femminicidi. Non esiste invece un registro ufficiale degli orfani di femminicidio, nonostante il problema non sia più emergenziale bensì strutturale.
Il progetto Orphan of femicide invisible victim, promosso dalla cooperativa Iside attraverso la partecipazione al bando A braccia aperte dell’Impresa sociale Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa, coinvolge 18 partner, dura 48 mesi e opera in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Trentino Alto Adige, e Veneto. I dati Eures mettono in evidenza 159 minori rimasti orfani a seguito di 97 casi di femminicidi, compiuti nelle regioni interessate dal progetto dal 2009 fino al 2021. Sapere chi sono e dove sono è la missione di Cadmi.
«I tribunali non hanno una raccolta specifica dei femminicidi, che confluiscono nel faldone omicidi. Non esistono dati affidabili, motivo per cui il primo anno e mezzo del progetto è stato speso per realizzare una mappatura degli orfani – spiega Cristina Carelli, coordinatrice generale di Cadmi. In che modo? –. Entrando in contatto con i territori e con le famiglie affidatarie, di cui non sempre è facile tracciare gli spostamenti», precisa.
A mancare non è solo un database. «Non esiste un sistema adeguato di assistenza e supporto – denuncia Cristina Barbieri, operatrice di accoglienza e referente Gruppo scuole di Cadmi –. Inoltre, la modalità in cui viene scelta una famiglia affidataria in Italia ha una serie di requisiti. Requisiti che vengono bypassati nel caso di orfani di femminicidio, motivo per cui alcuni orfani sono assegnati alla famiglia del reo, semplicemente perché nonni o zii, magari paterni, creando cortocircuiti».
Le ricadute sociali
Se l’omicida è il padre, i figli perdono contemporaneamente entrambe le figure di riferimento genitoriali. L’uccisione di un genitore da parte dell’altro genitore è un’esperienza complessa al cui dolore si aggiungono difficoltà di natura diversa: emotiva, materiale, sociale e giudiziaria. I parenti prossimi, secondo le esperte, non sempre sono emotivamente e materialmente pronti a gestire un affido: vivono a loro volta un trauma.
«Di fronte a un evento pluritraumatico gli attori coinvolti nel sostegno di orfani, famiglie e cargiver devono avere una formazione specifica, saper leggere il contesto e comprendere l’origine del fenomeno», avverte Barbieri. Il femminicidio è uno degli esiti della violenza di genere, «l’ennesima crudeltà vissuta da chi oggi è orfano, un lutto che porta con sé una storia precedente costellata da momenti drammatici e un clima quotidiano di tensione – conclude la coordinatrice Carelli. – Stiamo mettendo a punto una mappatura e un sistema di intervento per garantire un supporto immediato e competente. Non dimentichiamo inoltre le ricadute della narrazione di un femminicidio nello spazio di comunità, nei luoghi frequentati dai minori e dai loro affidatari».
Cadmi offre un sostegno a 360 gradi focalizzato sul benessere che comprende anche vivere momenti di spensieratezza: frequentare sport, coltivare hobby, andare in vacanza al mare. L’obiettivo è non lasciare questi ragazzi da soli.
di Ester Castano
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