Case popolari: l’autogestione è una lotta di resistenza contro il degrado

La partecipazione diretta dei condòmini alla manutenzione e gestione degli spazi comuni affianca le istituzioni nel ridurre costi e tempi di intervento. Oltre a sviluppare la coesione sociale e l’appartenenza anche fra chi proviene da contesti diversi

Il palazzo di via Baroni 106 – 110, a Gratosoglio.

Ciclicamente, in occasione di episodi di cronaca nera o campagne elettorali, i mezzi di informazione si interessano di periferie milanesi. Spesso, per accaparrarsi voti e click, gli ospiti dei salotti televisivi e i giornali accendono strumentalmente i riflettori sul degrado urbano, la sporcizia, l’alto tasso di residenti senza cittadinanza italiana delle zone considerate marginali della città. I quartieri Gratosoglio, Famagosta, Giambellino e Corvetto sono ben allenati al circo mediatico a caccia di scoop facendo leva su odio e intolleranza.

Esiste però un sistema collaudato che, anno dopo anno, contribuisce a rendere più accoglienti, e di conseguenza vivibili, le case popolari tanto maltrattate dai media: si chiama autogestione, non fa notizia ma funziona. Lo raccontano gli inquilini degli stabili Aler in cui, da decenni, viene praticata. L’obiettivo è contrastare l’abbandono e favorire l’integrazione sociale.

Le case popolari Aler rappresentano da decenni una soluzione abitativa essenziale per molte famiglie a Milano. Le esperienze di autogestione dimostrano come la partecipazione diretta può trasformare difficoltà in opportunità. Gli attori in campo sono due: da una parte gli abitanti, dall’altra l’ente proprietario, nel caso di Aler la Regione Lombardia, per il Comune di Milano invece MM – Metropolitane milanesi.

L’autogestione: come funziona?

L’autogestione è un modello di partecipazione comunitaria in cui gli abitanti di edifici di edilizia residenziale pubblica si occupano direttamente della manutenzione e gestione degli spazi comuni. Un approccio che non sostituisce le istituzioni, ma le affianca, permettendo agli inquilini di decidere come gestire al meglio le risorse, migliorare la qualità della vita e affrontare i problemi locali.

Grazie all’autogestione, i residenti partecipano attivamente alla cura di cortili, ascensori, illuminazione e spazi condivisi, rispondendo con maggiore rapidità ed efficacia rispetto alle tradizionali modalità di gestione pubblica. Queste iniziative nei quartieri del Sud Milano hanno portato, ad esempio, a una riduzione degli atti vandalici, favorendo la nascita di un senso di appartenenza tra gli abitanti, molti dei quali provengono da contesti diversi.
Autogestione fa rima con coesione sociale: prendersi cura del luogo in cui si abita attiva la partecipazione, sviluppa il senso di responsabilità personale e rafforza i legami. Lavorare insieme per migliorare il proprio quartiere, è innegabile, aiuta ad abbattere barriere linguistiche, culturali e immaginari stereotipati.

Katia: «Insieme abbiamo risolto la gestione dei rifiuti e della pulizia degli stabili»

L’edificio di via Panigarola 4, al Corvetto.

Lo racconta Katia Montinaro. Salentina d’origine, da 19 anni vive al civico 4 di via dei Panigarola al Corvetto: «Qui l’autogestione, di cui sono presidente dal 2017, ha compiuto 40 anni. È stata adottata in risposta alle lunghe attese per gli interventi di manutenzione da parte delle istituzioni: per contrastare l’incuria e l’abbandono ci siamo organizzati tra residenti. Ad esempio abbiamo risolto la gestione, problematica, dei rifiuti e della pulizia degli stabili selezionando noi stessi i preventivi di aziende e cooperative. Provvediamo alla fattura bimestralmente: la firmo e la invio ad Aler che paga il servizio facendo un bonifico sul nostro conto corrente dedicato. E se il lavoro non viene svolto come vorremmo ci interfacciamo direttamente con l’impresa e il custode ai quali abbiamo affidato l’incarico».

Katia mostra orgogliosa le comunicazioni affisse in bacheca: i testi sono tradotti in più lingue. «Se serve parlare arabo ho tanti amici qui nel palazzo che mi fanno da interprete. Chi presiede l’autogestione è il punto di riferimento dei condòmini con cui interloquire e allo stesso tempo un intermediario che porta le segnalazioni alle istituzioni. È come essere una sentinella sul territorio. C’è tanta responsabilità e non devi avere pregiudizi: mi rapporto con rispetto e amicizia sia con gli affidatari degli alloggi, sia con gli abusivi. Ciascuno ha la sua dignità e, soprattutto, tutte e tutti devono rispettare il regolamento condominiale.

Sono in pensiero – confida – per il futuro di chi, occupando un alloggio, ha figli piccoli e potrebbe essere sgomberato da un giorno all’altro. Dovete regolarizzarvi, gli dico. Ma quanto è difficile trovare casa a Milano…». Per avviare l’autogestione con Aler serve il consenso di almeno il 60% dei locatari in regola con l’assegnazione e i pagamenti, e la percentuale di morosità non deve superare il 20% del totale. 

Michele: «I servizi sono migliori e con i risparmi abbelliamo il palazzo»

Michele Valtorta

Un aspetto da non sottovalutare è il risparmio.

«Prima del 2008, anno in cui abbiamo dato il via al progetto, spendevamo 65mila euro l’anno per un servizio di pulizia svolto da una sola persona senza controllo e poche ore al giorno. Oggi, con regolare contratto, paghiamo 46mila euro due professionisti dal lunedì al sabato, quattro ore e mezza l’uno, e vi assicuro che oltre al risparmio di almeno il 20% notiamo la qualità del lavoro svolto», spiega Michele Valtorta, vice presidente del Consiglio di Municipio 5 e per 18 anni, dal 2008 al 2023, presidente dell’autogestione del complesso di via Costantino Baroni 106-124 al Gratosoglio. Oggi, da semplice consigliere del comitato, continua a essere il trait d’union tra inquilini e Aler. Quasi un sindaco per i circa 600 residenti: tre palazzi da nove piani l’uno, per un totale di 200 nuclei familiari con la media di tre membri per appartamento.

Certo, fa notare, nonostante i successi l’autogestione può incontrare difficoltà, tra cui la mancanza di risorse adeguate e, talvolta, l’inquilino distratto. «Aler, gestita da Regione Lombardia, non naviga in acque sempre tranquille. Ma non è solo sinonimo di carenza di alloggi, stabili non sistemati e occupazioni abusive. Ci sarà sempre il condòmino che non legge gli avvisi in bacheca e sbaglia a fare la raccolta differenziata, ma se collaboriamo e ci attiviamo possiamo migliorare l’ambiente in cui viviamo». Già dalle ortensie, rose e ulivi che abbelliscono il giardino condominiale si percepisce una non usuale cura degli spazi comuni. «Grazie all’autogestione abbiamo scelto noi fiori e alberi da piantare», precisa.

Aiuola con piante e fiori scelti e curati dagli inquilini di via Baroni.

Un modello di cura che Valtorta vorrebbe esportare anche fuori casa: «ci piacerebbe, come comunità cittadina, autogestire gli spazi verde del quartiere Gratosoglio. Un sogno? È fattibile, lo studio è pronto».
Anche nei contesti più difficili, il coinvolgimento diretto degli abitanti è una risorsa preziosa per costruire una città più inclusiva e solidale. L’autogestione, se sostenuta da politiche pubbliche adeguate, può diventare un modello replicabile in altri quartieri, contribuendo a ridurre il divario tra centro e periferia.

di Ester Castano

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