Dalla Gabriella della serie Inganno su Netflix al progetto di un film su Anna Magnani, Monica Guerritore ha sempre dato voce a storie di donne piene di passione. E a inizio mese al Teatro Carcano ha portato in scena la storia di Giulia Trigona, vittima di un amore assassino
Intervista di Cristina Tirinzoni
A chiudere la rassegna del Teatro Carcano dedicata alla riflessione sulla violenza contro le donne, Monica Guerritore, attrice, drammaturga e regista, ha portato in scena una lettura teatrale tratta dal suo libro Quel che so di lei. Donne prigioniere di amori straordinari. Racconta la morte di Giulia Trigona, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sposata e madre di due figlie, massacrata nel 1911 con 27 coltellate dall’amante che non si rassegnava alla fine della relazione. «È un testo su cui ho lavorato negli anni: volevo farne un film, ne nacque invece un libro. Ma credo fortemente nella potenza dei racconti dal vivo in un’epoca di alienazione».
Che cosa l’ha colpita in questa storia?
«Giulia va incontro al suo assassino certa che nulla di cattivo può arrivare da chi ti ha amato. Dirà all’avvocato che cerca di dissuaderla: “Mi ha amata…non mi farà del male”. Mi sono chiesta: “Di quale amore parla? Che cosa porta una donna a consegnarsi al proprio assassino?”. Ho immaginato le “sette stanze” della sua vita, che la spingono a scelte fatali. A guidarmi sette personaggi femminili che ho interpretato: Emma Bovary, Marianne, Liubov Andreevna, la Lupa, la signorina Giulia, Carmen e Oriana Fallaci. La storia di Giulia è una riflessione sull’amore che si crede straordinario ma che nasconde violenza e un’idea malsana di possessività».
Cosa l’ha spinta a portarla in scena?
«È una storia ancora emblematica, le donne continuano a essere uccise. Gelosia e possesso, la mancata accettazione di una separazione sono sempre il movente principale. È un problema culturale. Molti uomini non accettano un no o di essere lasciati da una donna. Ne soffre la loro virilità. Le donne sono più allenate a gestire il dolore, anche quello fisico. Sappiamo che si soffre tantissimo, ma dopo si guarisce. Questo devono imparare gli uomini, anche i giovani: il no non è la fine del mondo».
Che consiglio si sente di dare alle donne?
«Occorre liberarci dall’amore che ci consegna all’altro e diventare consapevoli della nostra forza. Non è amare meno, ma amare meglio, lucide. Senza abbassare le difese. Il vero amore non è possesso, ma libertà. E se un amore fa del male, è giusto mettervi fine. Imparare a dire no, anche quando sembra difficile, anche quando si ha paura delle conseguenze». Parliamo della sua Gabriella, protagonista di Inganno, la serie tv non in inglese più vista nel mondo su Netflix. Proprietaria di un albergo in Costiera amalfitana, riscopre passione e sesso con un giovane.
Com’è successo?
«Mi sono sempre chiesta: a chi darò il mio viso quando invecchierò? E oggi ho trovato Gabriella. Inganno mostra che una donna di 60 anni può innamorarsi e vivere una storia d’amore pericolosa e imperfetta, bella e umanissima. Purtroppo c’è ancora chi tenta di ridurre questo bel racconto del femminile a una storia di sesso, mentre amore e sesso devono essere di nuovo congiunti. Ti amo, ti desidero, sei mio. Senza disgiungere il desiderio del corpo da Amore, il dio Eros, senza paura di non essere abbastanza bella o giovane. Gabriella non teme il cuore che brucia, ma piuttosto quello silente, senza più emozioni. Il desiderio non invecchia, a 60 anni esiste ancora e le donne devono sentirsi libere di vivere la passione. A tutte le età».
Per questo nella serie ha esposto il corpo senza filtri.
«Voglio contrastare l’omologazione dei visi contraffatti. Volevo mostrare una donna per quello che è a 60 anni, con i segni del tempo: siamo fatti di carne, è giusto raccontarci per quello che siamo. Il corpo della donna cambia continuamente, le prime mestruazioni, la gravidanza, la menopausa. Occorre amare ogni età. Vorrei essere testimone per il pubblico femminile e un’apripista per le colleghe cinquantenni a cui si chiede sempre un viso da trentenne. A 60 anni non hai più il corpo di prima, ma puoi suscitare desiderio. E amare con passione e abbandono».
A breve debutterà da regista nel film su Anna Magnani. Come si è accostata alla sua storia?
«È la prima pellicola in assoluto sulla vita di Nannarella, la prima italiana a vincere l’Oscar, un’idea che ho da tre anni. Gli occhi della Magnani, il suo sguardo, mi aiutarono a portare sul grande schermo nel 1996 La lupa (regista l’ex marito Gabriele Lavia – Ndr) che aveva recitato a teatro. In quell’intensità si riconosce la fatica di una donna: scrisse sceneggiature che nessuno ha mai letto, lottò per il figlio poliomielitico, fu un’amante tradita (da Rossellini- Ndr). Ma non ha mai cancellato né rughe né borse. È la storia che voglio raccontare, una vita difficile, eccezionale come il suo talento. Stiamo per partire con la produzione, ma serve una quota residua di budget per un film che merita il meglio, senza restrizioni, con più mezzi, più respiro. Partirà la campagna di sostegno popolare su Kickstarter. Ogni contributo è essenziale».
Ha mosso i primi passi in teatro proprio a Milano, al Piccolo con Giorgio Strehler nel Giardino dei ciliegi.
Un suo ricordo?
«Accompagnai la mia amica Consuelo a un provino con Strehler che cercava una giovane attrice per il ruolo di Anja nel Giardino dei ciliegi. Era il 5 gennaio 1974, il giorno del mio compleanno. Non avevo alcuna intenzione di fare l’attrice, da lì sarei andata a sciare. Invece, come in una favola, Strehler scelse proprio me. Mollai il collegio, mollai tutto, vivevo in attesa di entrare in teatro dove mi sentivo al posto giusto. Avevo 16 anni, la mia famiglia mi affidò al Grand Hotel et de Milan, mi tenevano chiusa in camera, ma io dopo le prove rientravo all’alba in bicicletta: “Dai, su, vai a dormire”, brontolava bonariamente il concierge. Ma tutti erano gentilissimi con me, anche i negozianti».
Cosa è il tempo per Monica Guerritore?
«È un bene prezioso. Il passato mi ha fatto diventare quella che sono, oggi possiedo soltanto il presente, è il qui e ora che mi interessa. Ma possiamo essere noi stesse in tutte le stagioni della vita».