Paolo Forti (nella foto), per 28 anni Guardia ecologica volontaria, fu protagonista dell’eccezionale ritrovamento, che i paleontologi del Museo di Storia Naturale fanno risalire all’epoca romana, quando, tra Famagosta e Assago, i gladiatori si esibivano nelle venationes
Ci sono avvenimenti che, con tutta la buona volontà, a stento si riescono a credere, giusto per non dire che non li si credono per niente. Però quando chi te li riferisce insiste e sai che è persona seria e affidabile, e si dice disposto a provare ciò che ha tutta l’apparenza di una panzana, allora lo scetticismo comincia a incrinarsi. Ma non più di tanto, perché buonsenso vuole che si vadano a vedere le asserite prove. Soprattutto quando si tratta di un argomento talmente fuori dall’ordinario che…
Ma andiamo con ordine e partiamo dalla fonte: la persona in questione è piuttosto conosciuta nel Municipio 5, e anche ai lettori del nostro giornale. È Paolo Forti, che durante i suoi 28 anni di servizio come Gev ha percorso in lungo e in largo il territorio del municipio. Ed è proprio a una delle sue ricognizioni (non recente, ma mai rivelata prima) che si lega l’incredibile vicenda che ci ha raccontato.
Il ritrovamento del cranio
Era un giorno di primavera di una quindicina di anni fa, il tempo non doveva essere né brutto né bello, e non fare né caldo né freddo: uno di quei giorni ordinari che non concedono nessun motivo, neanche meteorologico, per essere ricordati. A meno che non capiti qualcosa di memorabile. Era un sabato pomeriggio, e Paolo era impegnato in uno dei suoi giri di perlustrazione in una località campestre del Parco Sud, in prossimità del cavalcavia di via Gattinara, dove era aperto il cantiere per il prolungamento della M2 da Famagosta ad Assago. Alcuni cartelli segnalavano la presenza di ordigni esplosivi, lasciti della Seconda guerra mondiale. Notando un gruppetto di operai fare circolo attorno a uno di loro, Paolo, incuriosito, si avvicina e vede che l’operaio tiene tra le mani un singolare oggetto sporco di terra: il cranio di un animale. Alla richiesta di mostrarglielo meglio, l’operaio manifesta l’intenzione di portare il reperto alla figlia, appassionata di paleontologia. Paolo non è d’accordo e, qualificandosi come Gev, gli dice che ha un’idea migliore: sequestrarglielo per consegnarlo al Museo di Storia Naturale, che a maggior ragione sarebbe anche più interessato a ritrovamenti del genere. L’operaio è riluttante, ma alla fine, sia pure di malavoglia, gli cede il cranio.
La consegna al Museo di Storia Naturale
Paolo si incammina verso casa col reperto in mano e incomincia a ripulirlo alla grossa, togliendo un po’ della terra che lo ricopre, attirandosi intanto gli sguardi curiosi, quando non sospettosi, dei passanti che incontra. Giunto a casa nel tardo pomeriggio, mette il cranio sul tavolo di cucina e, aiutato dalla moglie, ne completa la pulitura, lo fotografa e invia un messaggio corredato di foto al Museo di Storia Naturale. Non passa nemmeno un quarto d’ora che riceve una telefonata. L’interlocutore esordisce chiedendo: «È lei che ci ha inviato poco fa un messaggio con la foto di un cranio animale?». Ottenuta la conferma prosegue: «Io sono il direttore del Museo, ma lei ci sta prendendo in giro?». Ovviamente Paolo assicura che non si tratta di uno scherzo e spiega per sommi capi dove e come il cranio è stato ritrovato. «Lo dobbiamo vedere al più presto, ce lo porti subito per favore!».
Detto, fatto. Attorno alle 19 di quel sabato, Paolo esce dalla stazione della M1 di Palestro con il cranio in una borsa del supermercato e si dirige verso il Museo. All’entrata incontra il direttore con altri due dirigenti che, con evidente trepidazione, lo stavano aspettando. Tutti insieme raggiungono un laboratorio per un primo esame. Ed è lì che, dopo alcune comparazioni con altri teschi, apprende l’impensabile: è il teschio di un leone!
Leone di epoca romana o addirittura preistorico?
Ma come ci è arrivato un leone in un campo della periferia milanese? I tre studiosi sono concordi: vi sono indizi che i grandi felini siano vissuti a questa latitudine in epoca preistorica, ma ancora manca una prova conclamata. E questo spiega la loro impazienza di esaminare il reperto, che avrebbe potuto fornire la prova mancante. Questa prima analisi comunque esclude che il teschio risalga a tempi così remoti, ma stabilisce che appartenga piuttosto a un antico passato storico. Dunque? Quel giorno non porta nessun’altra risposta, e Paolo torna a casa. Il giorno seguente riceve la chiamata di una ricercatrice del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) che gli chiede di accompagnarla sul luogo del ritrovamento per verificare l’eventuale presenza di altri reperti. Il sopralluogo non dà esiti, a parte l’opinione della ricercatrice: è molto probabile che il cranio appartenesse a un leone di epoca romana.
I Romani erano soliti far combattere i leoni contro i gladiatori, e usavano portarli ovunque si tenessero le cosiddette venationes, cioè combattimenti di gladiatori (detti bestiarii) contro animali feroci, soprattutto leoni (ma anche tigri, leopardi, orsi e lupi).
Ed è stato così che gli scavi di un cantiere della M2 hanno riportato alla luce un reperto di un paio di millenni fa, e che una solerte e accorta Gev ha permesso di stabilirne la probabile origine. Hic est leo romanorum in quel di Milano.