Ori paralimpici al Vigentino: le medaglie del coach Beppe

Allena il supernuotatore Stefano Raimondi, cinque medaglie a Parigi 2024. «Come affronto la disabilità degli atleti? Pretendo il massimo, senza pietismo». Ma c’è un handicap più difficile da superare: le carenze degli impianti milanesi

di Lorena Bassis

Dietro le cinque medaglie d’oro di Stefano Raimondi alle Paraolimpiadi di Parigi 2024 c’è la guida di un allenatore che da più 30 anni vive con la famiglia nel quartiere Vigentino. È Giuseppe Longinotti, classe 1965, per tutti Beppe, un coach capace di unire tecnica e cuore.

L’allenatore Beppe Longinotti con il campione Stefano Raimondi nella Défence Arena di Parigi durante le Paraolimpiadi 2024

Una carriera dedicata al nuoto

Il successo di Beppe è il frutto di una carriera dedicata al nuoto, iniziata sui blocchi di partenza nella Piscina Parco Mattei (ex Snam) a San Donato Milanese, dove è nato. Dopo aver raggiunto diversi traguardi come nuotatore agonista, ha intrapreso la carriera di allenatore trasformando la sua passione in una professione di successo.

Tuttavia, è l’esperienza di Parigi 2024 al fianco di Stefano Raimondi, a rappresentare una pietra miliare nella sua carriera. L’avventura parigina non è stata solo un trionfo professionale, culminato con la conquista di cinque primi posti, ma anche un’esperienza umana profondamente significativa.

Parla il coach Giuseppe Longinotti

Proprio al Vigentino lo incontriamo per farci raccontare, le indimenticabili emozioni vissute nella Défence Arena.

Un ritratto del coach Giuseppe Longinotti – conosciuto da tutti come Beppe.

Come ha incontrato Raimondi?

«È stato un caso. Mi trovavo con i miei atleti nella piscina di via Mecenate, dove si allenava anche Giulia Terzi, nuotatrice paraolimpica e compagna di Stefano. Fu proprio Giulia a parlargli di me e in seguito mi contattò. Gli proposi un periodo di prova, un’occasione per valutare la compatibilità con il mio metodo di allenamento. Dopo solo una settimana, Stefano aveva già preso la sua decisione. Devo ammettere che la sua scelta mi lusingò enormemente».

Una sfida importante?

«Altroché! Mi sono trovato a 57 anni ad allenare un atleta che aveva già conquistato un oro alle Olimpiadi di Tokyo. Inoltre, mi stavo affacciando per la prima volta al mondo paralimpico, una realtà che si è subito rivelata straordinaria. Mi sono trovato di fronte a persone con disabilità congenite o acquisite, e ho scoperto una forza interiore e una positività contagiose. Questi ragazzi non hanno mai permesso alle loro difficoltà di condizionarli, anzi, erano sempre pronti a regalare un sorriso. Per loro, essere lì rappresentava già una vittoria.

Questo non significa che non ci sia competizione: arrivare secondi brucia ma prevale un profondo senso di gratitudine verso la vita. Parliamo di ragazzi che hanno trovato nello sport una potente fonte di motivazione. Come allenatore ho imparato a pretendere il massimo da loro, senza alcuna forma di pietismo, perché sono i primi a essere esigenti con loro stessi. E a proposito di questo spirito ti voglio raccontare un aneddoto. Dopo un incidente mi sono presentato in piscina con le stampelle e i ragazzi mi hanno accolto urlando in coro: “Beppe uno di noi!”. Ecco, questo è il clima che si respira stando con loro. Un clima di inclusione, di forza e di pura gioia di vivere. Purtroppo, non sempre questo spirito viene pienamente compreso all’esterno».

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

«Stefano è la prova che la disabilità non pone limiti insormontabili. Lui è un trascinatore e un motivatore per gli altri, un esempio profondamente significativo anche per me. A Parigi ho respirato un’atmosfera unica, uno straordinario spirito di squadra e un affiatamento profondo tra i membri dello staff tecnico. Un’emozione così intensa che mi commuovo ancora oggi, mentre te ne parlo. Con Stefano e Giulia si è instaurato un forte legame. Per darti un’idea: ho allenato Stefano tenendo in braccio il loro piccolo Edoardo, di pochi mesi, perché entrambi i genitori erano impegnati con le gare e non avevano alternative. Un’esperienza incredibile, che mi ha legato a loro in modo profondo».

Stefano Raimondi con Giulia Terzi alle Paraolimpiadi di Parigi 2024

Considerando il valore che attribuiamo allo sport, qual è lo stato degli impianti sportivi in questa zona?

«C’è una carenza assoluta. Qui come in tutta Milano. Per quanto riguarda le piscine, la Mincio in zona Corvetto non si distingue certo per modernità. Poi c’è il Centro Sportivo Forza e Coraggio, una struttura storica ma, appunto, con impianti datati. Al Lorenteggio troviamo la piscina Cardellino che da anni attende di essere ristrutturata. Tra il quartiere Santa Giulia e la zona di via Mecenate stanno ultimando il palazzo del ghiaccio per le Olimpiadi invernali del 2026, ma si vocifera già che, terminato l’evento, la struttura verrà convertita in una sala concerti.

Per non parlare delle barriere architettoniche presenti ovunque. Aggiungo che nella Piscina comunale di via Mecenate manca lo scivolo per le carrozzine e, anche se verrà realizzato a spese della Federazione Italiana Nuoto, siamo da tempo in attesa del permesso da parte del Comune. Al di là di qualche struttura privata, la situazione è davvero critica.

Nelle scuole è persino peggiore. Spesso le palestre versano in condizioni tutt’altro che ottimali: ambienti maltenuti, poco invitanti, che non solo non incentivano i ragazzi a praticare attività fisica, ma anzi, li spingono a utilizzare quell’ora per ripassare la lezione successiva, rinunciando di fatto al movimento».

Una realtà che allontana dallo sport?

«La diffusione della cultura sportiva è ostacolata sia dalla mancanza di strutture ma anche dal pregiudizio che l’agonismo allontani dallo studio. Sono convinto, e la mia esperienza lo conferma, che sport e studio possano coesistere e rafforzarsi reciprocamente. Molti miei ex atleti sono diventati medici, avvocati e c’è anche chi oggi lavora a Houston, alla Nasa».

Cosa fai nel tempo libero?

«Mia moglie Elena fa volontariato presso la parrocchia Santa Maria Liberatrice di via Paolo Solaroli e, grazie a lei, sono stato coinvolto anch’io nello staff di cucina. Da loro ho sempre ricevuto un grande sostegno per le mie attività di allenatore, ancora di più durante le Olimpiadi di Parigi».

Longinotti con lo staff di volontari che aiutano in cucina durante gli eventi della Parrocchia Santa Maria Liberatrice
Da sx Longinotti, P. Manuel Varela e P. Lucio Ordaz della Parrocchia Santa Maria Liberatrice

Non solo medaglie: lo sport come scuola di vita

Stefano Raimondi, classe 1998, atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro della Polizia di Stato, ha segnato una nuova era per il nuoto paraolimpico italiano. Dopo le 7 medaglie conquistate a Tokyo 2020, tra cui spicca l’oro nei 100 metri rana, a Parigi 2024 ha superato ogni aspettativa, ottenendo 4 ori e un argento e infrangendo il record di Luca Pancalli del 1984. Il suo percorso, iniziato nel nuoto paraolimpico nel 2013 in seguito a un incidente all’età di 15 anni, non si ferma ai successi sportivi.

Stefano Raimondi con la compagna Giulia Terzi.

Insieme a Giulia, porta avanti un significativo progetto di sensibilizzazione nelle scuole, con l’obiettivo di trasmettere alle nuove generazioni il valore formativo dello sport: «Non si tratta solo di medaglie – afferma – ma di una guida fondamentale per affrontare le sfide della vita». Raimondi, affiancato da Longinotti, si sta preparando a intraprendere la carriera di allenatore, con il desiderio di infondere nelle nuove generazioni i principi che lo hanno guidato al successo: forza, disciplina e amore per lo sport.

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