Sguardi Altrove, cinema al femminile dal 12 marzo al 7 aprile. Intervista alla direttrice artistica Patrizia Rappazzo

Locandina Sguardi Altrove.
Locandina Sguardi Altrove.

Prende il via a Milano dal 12 marzo fino al 7 aprile Sguardi Altrove Women’s International Film Festival, l’unico festival italiano dedicato alla regia femminile. Questa 32esima edizione è dedicata alla memoria di Eleonora Giorgi.

Oltre un mese di cinema al femminile diffuso dal centro alle periferie in varie location cittadine, Accademia09, Anteo Palazzo del Cinema, Il Cinemino, Spazio Alda Merini, Wanted Clan di via Tertulliano, Università Cattolica del Sacro Cuore, Università Iulm, Auditorium Comunale di Rho. Per conoscere e approfondire le opere delle più talentuose cineaste contemporanee di tutto il mondo, spesso alla loro prima esperienza dietro la macchina da presa. Un’occasione imperdibile di dialogo e di scambio tra geografie e generazioni femminili. A questo si aggiungono ospiti internazionali, laboratori e spazi dedicati alla formazione e il Premio Le Forme del Cinema alle attrici Federica FracassiLucia Sardo. La cerimonia di premiazione sarà domenica 16 marzo al Cinema Wanted Clan, preceduta dalla proiezione del documentario Duse, The Greatest di Sonia Bergamasco, in collegamento video.

I film saranno proiettati in lingua originale con sottotitoli realizzati dagli studenti della Iulm della Laurea magistrale in Traduzione specialistica e interpretariato di conferenza, con il coordinamento della professoressa Mara Logaldo (docente di Traduzione audiovisiva Iulm).

L’intervista a Patrizia Rappazzo

Patrizia Rappazzo.
Patrizia Rappazzo.

il SUD Milano ha incontrato Patrizia Rappazzo, direttrice artistica del Festival dal 1996.

Sguardi Altrove arriva quest’anno al traguardo della sua XXXIII edizione. Il cinema delle donne va (ancora) sostenuto?

«Trentadue anni fa quando è nato il Festival, ci siamo posti un obiettivo: aiutare la cinematografia femminile a ottenere maggiore visibilità e promuovere giovani cineaste che difficilmente avrebbero trovato un mercato di distribuzione, nonostante il livello qualitativo e l’interesse tematico. Con il desiderio di vedere il mondo del cinema e dell’audiovisivo sempre più popolato di sguardi femminili. Rispetto ad allora sicuramente la situazione è migliorata ma a nella sostanza le condizioni non sono molto cambiate. Le donne che fanno cinema si misurano con un settore ancora prevalentemente gestito dagli uomini, non solo a livello di contenuti, ma anche di finanza e di distribuzione, di erogazione di fondi pubblici. Fare un film significa insomma avere dei soldi, assumere delle persone, gestire il lavoro di un team. Per questo rispondo, sì, le donne hanno ancora bisogno di essere sostenute. La storia del cinema femminile è ancora fatta di esperimenti, di film coraggiosi, autoprodotti, o valorizzati da donne che sostengono attivamente i progetti delle altre donne. In questo preciso momento storico credo che abbiamo bisogno di visioni al femminile più che al maschile. Siamo molto orgogliose di aver scoperto talenti e cinematografie sommerse e di aver attraversato la cronaca sociale e politica internazionale, intrecciando temi, linguaggi e generi. Nei decenni sono cresciute tante registe delle quali presentiamo i primissimi lavori».

Ma perché distinguere un film a regia femminile e uno a regia maschile? In termini di linguaggio si possono riscontrare delle differenze sostanziali?

«Se si parla in termini di qualità o di competenze, non occorre fare distinzioni ed è anzi sbagliato farne. Per quanto riguarda il linguaggio cinematografico, da testimone fortunata di tanta cinematografia a regia femminile, posso dire che le donne sono in grado di raccontare alcune storie con una delicatezza come forse gli uomini ancora non sono riusciti a fare. Narratrici instancabili, le donne hanno una grande necessità di esprimere la propria voce, di offrire il loro sguardo, per certi versi unico, sulle cose, partendo dalla relazione con l’altro. Non consegnano un messaggio ma piuttosto disegnano emozioni. E se una volta raccontavano storie ‘domestiche’, di famiglia, di figli, storie d’amore, adesso raccontano di tutto: anche la guerra».

Quali sono i temi ricorrenti che emergono nel programma di quest’anno?

«Le pellicole affrontano temi importanti che riguardano il mondo femminile, la maternitàil rapporto con il proprio corpo, la violenza economica di genere, conflitti e diritti umani, diversità, inclusione e disabilità. Per la sezione Inclusion & Disability, sabato 15 marzo all’Università Cattolica, verrà presentato La casa di Ninetta di Lina Sastri. Spicca nel programma, a ricordare la tragedia della guerra in Ucraina, Intercepted, il documentario sconvolgente della regista Oksana Karpovych, nata a Kiev nel 1990, che racconta la brutalità della guerra. Ad accompagnare le immagini di una terra desolata sono le registrazioni di alcune conversazioni telefoniche, intercettate nel 2022 dai servizi segreti ucraini, tra i soldati russi in trincea in Ucraina e le loro famiglie, in cui confessano saccheggi, stupri, uccisioni di civili, torture ed esecuzioni di prigionieri. Il film sarà proiettato sabato 22 marzo, alle ore 10,30, nella sede dell’Università Cattolica, aula Gemelli, ospiterà anche la cerimonia di assegnazione del Premio Lux del Pubblico 2025 in collaborazione con l’Ufficio del Parlamento Europeo a Milano e la commissione Pari opportunità del Comune di Milano».

Un film che consiglieresti?

«Mi piace ricordare due omaggi speciali che il Festival dedica a due pioniere del cinema: Elvira Notari (Salerno, 1875 – Cava de’ Tirreni, 1946), autrice di oltre sessanta lungometraggi e centinaia di corti e documentari, con la proiezione di  alcuni dei suoi titoli più noti il 20 giugno ore 19.15 Teatro Franco Parenti. E a Kinuyo Tanaka (Yamaguchi, 1910 – Tokyo, 1977) attrice di culto, musa di Kenji Mizoguchi e collaboratrice di maestri quali Yasujiro Ozu. Tra gli anni cinquanta e sessanta, Tanaka si dedicò anche alla regia realizzando film dall’impronta femminista e anticonformista come Love Letter, The Moon Has Risen e Girls of Dark che si potranno vedere mercoledì 19 all’Anteo, protagonista di Japan Day, la giornata dedicata al cinema del Giappone in collaborazione con Japan Foundation – Istituto Giapponese di Cultura con sede a Roma».  

Tre le sezioni competitive: Nuovi Sguardi, riservata ai lungometraggi internazionali a regia femminile, Sguardi (S)confinati per i corti internazionali delle giovani filmaker under 35 e #FrameItalia, finestra sul cinema italiano indipendente e premio del pubblico.

«Con un programma eterogeneo che abbraccia generi e forme cinematografiche differenti – documentari, cortometraggi, film di finzione – il festival raggiunge il difficile compito di offrire al pubblico gli strumenti per affrontare la realtà da prospettive difformi, spesso distanti dalla visione comune e dai cliché. Di generazione in generazione, il documentario è stata spesso la forma breve adottata dalle donne a incanalare un atto creativo di rottura e di ribellione. Costa meno e in molti casi lo autoproducono. Spesso le pratiche documentaristiche sono il primo passo per passare poi alla finzione cinematografica. Il documentario è a tutti gli effetti il cinema del reale, con un linguaggio e modalità tecniche ed espressive diverse. Non c’è contrapposizione. Ripercorrendo la storia del cinema vediamo come questa complessa dualità abbia regolato la sua evoluzione in una dinamica dialettica che ne ha garantito la sua espressività e vitalità. Stimolando poetiche tese semmai alla mescolanza e alla relazione problematica tra realtà e finzione, vero e falso».

Per il programma completo e le novità di questa edizione nel sito ufficiale

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Donne che si improvvisano capofamiglia come la protagonista kosovara di Hive di Blerta Basholli, che mentre cerca il cadavere del marito vittima di guerra mantiene sé stessa, i figli, il suocero inventandosi una produzione alimentare che coinvolgerà l’intera comunità femminile del villaggio; donne di mezza età che, dopo il suicido del marito, lottano per non perdere la casa e non smettono di sognare il mare (Vera Dreams About The Sea di Kaltrina Krasniqi). Donne di fronte a decisioni difficili come una gravidanza indesiderata in una società che incessantemente spinge verso la maternità (lo spagnolo Mamifera di Liliana Torres), e madri in terra straniera costrette a vivere in un rifugio per vittime di violenza domestica e a proteggere una bambina da un padre predatore (Shayda di Noora Niasari). O maestre coraggiose come Celeste, protagonista del messicano La Falla di Alina Simoes, che con etica e passione porta avanti il suo lavoro in mezzo a mille difficoltà.

La genitorialità continua a essere un tema centrale, affrontato più volte da molteplici punti di vista. Irreprochables, documentario diretto da registe belghe Sophie Breyer, Flore Mercier e Angèle Bardoux, grazie alle testimonianze di un gruppo di donne evidenzia l’assurdo destino di essere allo stesso tempo vittime di maltrattamenti e private dei propri figli. Un altro documentario, Ma’, indaga invece in territorio italiano il significato più profondo nell’essere madri e nell’essere figli, con la triplice regia di Arianna Casati, Bianca Thiebat e Camilla Grossi. La maternità è un tema trattato anche da Alexandra Valetova in Vera’s Dream of Sushi che ci catapulta in un futuro in cui una clinica mette a disposizione delle donne incinte un software capace di mostrare estratti di vita con il nascituro. È infine uno sguardo che affiora dal dolore ma si ricongiunge alla speranza quello di Welcome to the River di Barbara Massimilla, dove il ritratto di una vittima di tratta è illuminato dalla luce di un fiume salvifico. Ana Can do everything di Loida Garcìa: una giovane donna cristiana si innamora di una donna iraniana e decide di aiutarla a evitare l’espulsione. È invece un confronto spigoloso e poetico quello che avviene in The Birdie di Natalya Khlopetskaya e Tatyana Shapovalyants dove il tentativo di salvataggio di un uccellino lega le esistenze di un uomo e una donna, alla scoperta della loro anima più profonda.

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