A Chiaravalle e nei quartieri Corvetto e Mazzini si fa strada una giustizia di comunità, senza sbarre e celle, ma fatta di doposcuola, aiuole pulite e corsi di italiano per stranieri e in questo modo, con l’istituto della messa in prova 80% dei detenuti non commette più reati

Nel 2023, secondo i dati del Ministero della Giustizia, sono state oltre 12mila le persone in Italia che attraverso la giustizia di comunità e riparativa sono state coinvolte in percorsi di messa alla prova o lavori di pubblica utilità, evitando così il carcere. Di queste, più dell’80% ha portato a termine il percorso con successo, senza tornare a delinquere. Un dato che racconta una verità semplice: la punizione funziona davvero solo se diventa occasione di riscatto.
Le iniziative nei quartieri Corvetto, Mazzini e a Chiaravalle
A Milano, nei quartieri di Corvetto, Chiaravalle e Mazzini, questo modello si è tradotto in centinaia di ore di volontariato in scuole, cortili, centri sociali e spazi verdi. A fare da ponte tra la giustizia e il territorio, un’ampia rete di associazioni locali che accolgono queste persone e le affiancano nel loro percorso.
Khadija, volontaria convinta
Tra le persone coinvolte in questi percorsi c’è Khadija Messa, una donna marocchina, laureata in Fisica, madre di un ragazzo disabile. «Quando siamo arrivati in zona 4 cercavo un posto dove far fare attività a mio figlio – racconta –. Poi un problema con l’Inps mi ha portata davanti a un giudice. Mi è stata proposta la messa alla prova. All’inizio pensavo fosse solo un obbligo, invece è diventata un’occasione per ritrovare me stessa».
Durante il suo percorso, durato quattro mesi, Khadija ha aiutato bambini nei compiti, collaborato con altre mamme e sostenuto stranieri nell’apprendimento dell’italiano. «Alla fine del percorso ho chiesto di restare. Ora continuo come volontaria. È come se avessi trovato il mio posto».
Pierluigi, il medico che tutti vorrebbero
Il volto umano di questo sistema è fatto anche dai volontari che accompagnano questi percorsi. Pierluigi Rossi, medico in pensione, volontario dell’associazione Casa per la Pace, racconta: «Seguiamo persone che spesso hanno solo fatto un errore. In altri tempi li avrebbero spediti in cella, oggi possiamo restituirli a una comunità che, se li accoglie, ne trae beneficio. La zona sud di Milano è viva, piena di energia, ma anche di fragilità. Questi percorsi aiutano entrambi: chi ha sbagliato e chi ha bisogno di aiuto».

Tra le attività più frequenti ci sono il doposcuola, il supporto a donne straniere che studiano per l’esame di terza media, la pulizia di cortili delle case popolari, l’assistenza agli anziani e la manutenzione di piccoli spazi verdi. Tutto avviene in orari flessibili, compatibili con il lavoro e la famiglia.
Ancora Pierluigi sottolinea come «All’inizio molti arrivano con diffidenza, alcuni con vergogna. Ma pian piano si aprono. Una donna che sembrava spaventata ha poi cucinato per interi pranzi solidali. Un altro, dopo aver finito il suo percorso, ha deciso di restare a seguire i bambini nel doposcuola. È il segno che qualcosa è cambiato».
Pierluigi racconta con orgoglio il valore che queste persone portano nei progetti. «C’è chi si sente giudicato, chi pensa di non avere nulla da offrire. Poi li vedi prendere confidenza, diventare parte del gruppo, affezionarsi ai bambini e agli spazi. A volte sono loro a motivarci, a darci energia. Una donna ha passato settimane con gli anziani della Comunità di Sant’Egidio, semplicemente ascoltandoli. Alla fine del percorso, chiedevano di lei come se fosse una nipote».
Non tutte le esperienze vanno a buon fine. «Una piccola parte delle persone abbandona il percorso – ammette un altro volontario – ma nella stragrande maggioranza dei casi vediamo un’evoluzione. Alcuni trovano addirittura lavoro grazie alle competenze acquisite».
Un’idea vincente ma frenata dalla burocrazia
Il sistema della messa alla prova non è perfetto. La lentezza burocratica dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna (Uepe), che deve approvare ogni progetto, crea liste d’attesa e ritardi. Eppure, nelle strade di Corvetto, ogni settimana qualcuno inizia il suo cammino di riscatto.
«Quando si capisce che la giustizia non è solo punizione, ma ricostruzione – chiarisce Mercedes Mas Solé, referente di progetti educativi dell’Associazione Casa per la Pace – allora cambiano le persone e cambia anche il territorio. La zona sud non è solo degrado: è un laboratorio sociale che sta generando nuovi modi di stare insieme».
È in questi angoli di città, dove spesso si racconta di marginalità e cronaca nera, che la giustizia invece educa, piuttosto che punire.
«Qui non si cancella solo un reato – conclude Khadija –. Si ricostruisce dignità. Si riparte da sé stessi. E dagli altri».