12 Dicembre: Piazza Fontana 55 anni dopo per ricordare la strage fascista e in ricordo di Licia Pinelli

12 Dicembre, a 55 anni di distanza dalla strage fascista del 1969, a Milano si rinnova il dolore e il ricordo della bomba fascista esplosa all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura facendo 17 morti e 88 feriti. Da allora Milano non dimentica. E non dimentica Licia Rognoni Pinelli, scomparsa di recente, vedova dell’anarchico ferroviere Giuseppe Pinelli, 18esima vittima della strage di piazza Fontana.

I parenti delle vittime della strage di Piazza Fontana (fotoClaudio Calerio)

12 dicembre: è il giorno in cui da 55 anni l’Associazione dei familiari delle vittime e il Comitato permanente antifascista commemora la strage fascista di Piazza Fontana insieme ai cittadini e alle istituzioni milanesi. Anche quest’anno il corteo partito da Piazza Scala, con alla testa i gonfaloni del Comune di Milano e il sindaco Giuseppe Sala, le bandiere dell’Anpi, ha raggiunto Piazza Fontana alle ore 16.

Alle ore 16.37 il minuto di silenzio a ricordo dell’ora esatta di quel venerdì pomeriggio del 12 dicembre del 1969, in cui scoppiò un potente ordigno uccidendo 17 persone e ferendone 88. «Un bomba collocata dal gruppo terroristico di estrema destra Ordine Nuovo» che sconvolse tutta la città. Da allora Milano non dimentica.

Lo striscione del Comitato permanente antifascista contro il terrorismo per la difesa dell’ordine repubblicano dopo il minuto di silenzio e la deposizione delle corone

Primo Minelli, presidente dell’Anpi provinciale

Dopo la posa delle corone, tra gli interventi che si sono susseguiti dal palco della commemorazione, ricordiamo quello di Primo Minelli, presidente dell’Anpi provinciale, che ha ammonito l’attuale «sdoganamento, senza vergogna, del passato fascista» nel silenzio delle più importanti istituzioni.

Minelli ha proseguito esortando «Occorre dire ‘no’ a questa deriva anche per non lasciare il Presidente della Repubblica da solo a difendere la Costituzione antifascista». Concludendo: «No all’odio parolaio che può sfociare in violenza. Dobbiamo vigilare a difesa della democrazia non dando nulla per scontato».

A Licia Pinelli sarà dedicato in memoria l’Ambrogino d’oro

Il sindaco Giuseppe Sala durante la commemorazione (foto Claudio Calerio)

Il sindaco Giuseppe Sala, durante il discorso di commemorazione, ha annunciato la decisione di  assegnare l’Ambrogino d’oro a Licia Rognoni Pinelli, scomparsa lo scorso novembre, vedova del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli. Morto tre giorni dopo la strage in circostanze mai chiarite nella questura di Milano, è considerato la 18esima vittima della strage di piazza Fontana.

«Ho deciso, perché mi sono avvalso delle prerogative della mia carica, di assegnare a Licia la più alta onorificenza cittadina cioè l‘Ambrogino d’oro alla memoria e ho condiviso questa scelta con Anpi e con le figlie Claudia e Silvia. Si tratta di un atto di rispetto per il suo impegno civile, ma anche di un ringraziamento a lei e alla famiglia per la fermezza con cui ha trasformato il dolore della morte di Pino in una battaglia di dignità e di pace, per la verità e la giustizia»

Beppe Sala conosceva bene Licia Pinelli: alla sua scomparsa, l’11 novembre scorso, la ricordò con queste parole: «La sua morte mi addolora. Di lei ho sempre ammirato la caparbietà con cui ha difeso e onorato la memoria di suo marito Pino, ingiustamente accusato per la strage di piazza Fontana. Mancherà alla comunità milanese»

Sempre presente lo striscione del consiglio d’azienda della Banca Nazionale dell’Agricoltura – Milano

Licia Pinelli: con dignità e compostezza lottò per la verità e la memoria

Riportiamo un ricordo della figlia Claudia Pinelli, pubblicato sull’ Enciclopedia delle donne

«Il 12 dicembre 1969 scoppia una bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana: 17 morti e 88 feriti. È il primo, terribile, atto della strategia della tensione. Milano, l’Italia intera, è basita, attonita, impaurita. Parte immediatamente la caccia agli anarchici e anche Pino viene fermato dalla polizia, invitato dal commissario Calabresi a seguirlo in questura con il suo motorino. «Gli faranno prendere un bello “spaghetto” e poi lo faranno tornare a casa» dice Licia alle sue figlie che le chiedono perché il papà non torna. Ma Pino non tornerà mai più.

Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre muore, precipitando, durante un interrogatorio, da una finestra della questura di Milano. Il suo stato di fermo, durato tre giorni, si è protratto ben oltre i termini legali, ma nessuno verrà mai chiamato a rispondere neanche di questo. La famiglia viene avvisata da alcuni giornalisti; nella notte arrivano a casa Pinelli Camilla Cederna, Corrado Stajano, Giampaolo Pansa; e quando Licia chiama in questura per sapere perché non è stata avvisata si sente rispondere: «non avevamo tempo».

Al dolore immenso, a questa morte orrenda, si aggiungono le dichiarazioni infamanti che vengono immediatamente riversate su Pino, accusato dal questore di Milano di essersi suicidato a dimostrazione della sua colpevolezza. I giornali parlano di «alibi caduto», di slancio felino al grido «è la fine dell’anarchia». Licia, con pochi amici, trova la forza e il coraggio di affrontare tutto questo, di ribellarsi alle verità ufficiali e con dignità inizia la sua battaglia per sapere non solo la verità sulla morte del marito, ma per difenderne la memoria così crudelmente distorta. Da subito, comincia a conservare tutti gli articoli, tutte le parole e tutte le bugie gettate sulla memoria di Pino: ritaglia e conserva, ritaglia e conserva…

Deve cambiare scuola alle bambine, che all’epoca hanno 8 e 9 anni; deve cambiare casa. Trova lavoro come segretaria presso l’Università. La sua vita viene scandagliata, investigata e lei mostra in pubblico una maschera di compostezza, forse anche di durezza, che le permette di affrontare il ruolo di vedova Pinelli. Il privato è un’altra cosa, ma non deve trasparire. Difende dalla curiosità, dai giornalisti, dai fotografi, quello che rimane della sua famiglia che tenta di riportare a una normalità.

“Una storia quasi soltanto mia”

Di Licia Pinelli e Piero Scaramucci, edito da Feltrinelli, 2019. A cinquant’anni dalla morte di Giuseppe Pinelli, il racconto della vedova del ferroviere anarchico morto in circostanze mai chiarite nella questura di Milano, nel 1969. Il racconto è arricchito da una cronologia degli eventi più importanti dell’epoca e da un inserto di foto. Dall’introduzione di Piero Scaramucci:

«Questa è la storia che Licia Pinelli mi raccontò all’inizio degli anni ottanta. Era rimasta appartata, quasi silenziosa per una decina d’anni, da quell’inverno del 1969, quando la bomba fece strage alla Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, suo marito Pino, ferroviere anarchico, precipitò da una finestra della questura e l’Italia scoprì che la democrazia era sotto attacco. Licia si era tenuta lontana dai riflettori concentrandosi in una tenace battaglia per ottenere giustizia dalla Giustizia. Non la ottenne.

Dopo dieci anni Licia fece forza sul suo severo riserbo e si decise a raccontare di sé e di quel che era successo. Scelse lei stessa di parlare e mi chiese di intervistarla. Non fu un percorso facile, per Licia fu come reimparare a parlare e a guardare dentro se stessa dopo anni di silenzio e autocensura. Oggi, a distanza di tanto tempo, questo racconto appare come un documento di rara verità…»

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