“Troppe ruspe”, avverte la scrittrice nel suo ultimo libro dedicato alla riscoperta della città. Poco rispetto per il prezioso patrimonio delle periferie. E la sua ricetta per un nuovo sviluppo punta tutto su terzo settore, cultura diffusa e partecipazione
Chi vive nelle periferie, spesso non sente di essere cittadino o cittadina della città ma soltanto del proprio quartiere. Nonostante il degrado, la convivenza a volte difficile, le molte profonde trasformazioni, il quartiere è ancora un punto di riferimento, anche sociale», racconta Carla De Bernardi. Nata ad Alessandria d’Egitto, infanzia a Parigi, dal 1963 trasferita a Milano, dopo una decennale esperienza come top manager inizia a fotografare, scrivere e camminare. In un mese percorre il Cammino di Santiago de Compostela, 800 chilometri, e lo racconta in un libro (Contare i passi. Sul Cammino di Santiago, ed. Mursia – Ndr). Fonda e diventa presidente dell’Associazione Amici del Monumentale di Milano “per la tutela e promozione di questo museo a cielo aperto”. «Dopo avere scritto non so più quanti libri sul Monumentale, ho sentito l’esigenza di allargare lo sguardo a tutta la città mettendo al centro gli 11 quartieri». Ne ha ricavato La grande Milano, passeggiate e incontri, edito da Jaca Books, con prefazione di Giangiacomo Schiavi, firma del Corriere della Sera.
Il capitolo undicesimo del libro è dedicato al Vigentino.
«Il gioiello del quartiere è la Chiesa di Santa Maria Assunta al Vigentino, che dal 1995 è sede dell’Orchestra dell’Assunta, fondata da alcuni professori dell’Orchestra sinfonica della Rai di Milano. Proseguendo verso sud si arriva a Macconago, borgo con una vecchia cascina a corte tipicamente lombarda, animato dalla presenza di un centro ippico, e poco oltre una chiesetta del Seicento completamente diroccata e pericolante. Ad altri 20 minuti su via Ripamonti c’è Quintosole, piccola frazione agricola ancora percepibile, con i trattori parcheggiati ai lati della strada e i galli che cantano. Siamo così lontani che Atm a stento serve i pochi abitanti. Vi passa il bus 99, ma solo lungo la via Ripamonti che dista circa 300 metri. Ma Quintosole è al centro di un progetto residenziale ambizioso. Quanto cemento arriverà in mezzo al verde?».
In generale, in queste passeggiate tra i quartieri, quali sono le criticità che più l’hanno colpita?
«Nel suo crescere, la periferia “nuova” smarrisce connotati facilmente riconoscibili. Molti quartieri si presentano incompiuti. Mescolano, sovente alla rinfusa, nuovi progetti e resti industriali, strutture recenti della logistica e capannoni abbandonati, infrastrutture moderne e scali ferroviari dismessi, quartieri residenziali e sopravvivenze isolate di edilizia popolare tradizionale. Un universo estremamente composito, dunque. Gioielli di architettura rurale, in tanta parte diroccati o abbandonati al degrado, danno l’idea di quanto poco impieghi il tempo a distruggere edifici d’epoca».
Che cosa pensa della Grande Milano?
«Non voglio fare l’urbanista, ma mi sembra che si stia un po’ esagerando con le ruspe. Ogni giorno si butta giù qualcosa, spesso ignorando il prezioso patrimonio culturale, architettonico e direi anche sociale. Un conto è produrre sviluppo, diverso è costruire una città che attira i ricchi. La prima gentrificazione ha espulso una fascia della popolazione dal centro, adesso sta togliendo identità ai quartieri. Un esempio? In piazza Costantino, il Comune di Milano (in realtà si tratta del fondo Bnp Paribas a cui è stato ceduto nel 2008 dal Comune – NdR) ha venduto all’asta un palazzo storico, Casa Crescenzago, sede di associazioni come Anpi, Legambiente e la Banda musicale. Il cemento è già calato sul triangolo di verde tra via Meucci e via Adriano, un’area che nel piano regolatore del 1980 era appunto destinata a diventare un parco e che ora, dopo essere stata per anni un parcheggio abusivo, sembra condannata a ospitare l’ennesimo condominio. Nonostante le numerose proteste dei residenti, infatti, il cantiere rimane aperto».
Cosa suggerisce per i quartieri, in bilico fra rinascita e memoria?
«Sviluppare nuovi spazi condivisi, come le piazze, inserendo del verde, mentre a volte troviamo soltanto la strada, il marciapiede e nient’altro. Bisogna portare occasioni di lavoro perché le periferie sono vive e piene di potenzialità. Puntare sulla grande forza delle associazioni e cooperative di servizi (dai laboratori di pasticceria all’assistenza ai disabili) che in questi anni hanno fatto spesso supplenza alle istituzioni. Vi è un grande potenziale creativo, lo dimostrano le tante e diffuse attività culturali, l’apertura di maxi gallerie d’arte che migrano dal centro storico. I quartieri sono disseminati di associazioni, comitati di quartiere, collettivi aperti alla partecipazione di uomini e donne che vogliono intervenire sulle decisioni determinanti per i loro spazi di vita. Io sono fiduciosa».