Duse The Greatest, inseguendo la Divina con Sonia Bergamasco

Sonia Bergamasco.

Nel centenario della scomparsa di Eleonora Duse arriva al cinema Duse The Greatest. È il primo documentario da regista di Sonia Bergamasco, attrice tra cinema, teatro, tv, musicista, non tralasciando la scrittura e poesia, altra sua grande passione. Una occasione per far conoscere al grande pubblico Eleonora Duse, un’artista che ha rivoluzionato il modo di recitare sul palcoscenico, e continua a ispirare generazioni di attori e attrici.

Sonia Bergamasco.
Sonia Bergamasco.

Sonia Bergamasco vive ormai da molti anni a Roma (da quando si è sposata nel 2000 con l’attore Fabrizio Gifuni) ma Milano resta “la città degli amici, della famiglia, della mia infanzia. Nata e cresciuta a Milano (al QT8, con vista sulla Montagnetta, “oggi parco lussureggiante della città, ieri collinetta spelacchiata”) si è diplomata in pianoforte al Conservatorio e ha frequentato la Scuola del Piccolo Teatro di Milano. E la fascinazione per la Duse, è iniziata proprio al Piccolo sotto la guida di Giorgio Strehler. «Sulla parte delle scale che portavano in aula – ha raccontato – ogni mattina vedevo una gigantografia della Duse in bianco e nero. Guardare quella donna mi dava un’energia così potente. Non facevo altro che fissare quello sguardo. Non sapevo chi fosse. Sono partita da zero, da allora non ho mai smesso di interrogarmi su questa attrice. Di cercarla, catturata dalla sua storia privata e artistica, che mi hanno sempre emozionato». 

La preparazione del film

Sonia Bergmasco si mette sulle tracce della The Greatest, dando voce a testimoni di oggi e di ieri, esplorando anche il legame fra la figura della Duse, l’arte teatrale, i primi movimenti femministi, svelandone la modernità. Intervistando gente comune ed eminenti studiosi e attori come l’attrice americana Ellen Burstyn che mostra una serie di cimeli, un anello, che era di Duse e che indossa ogni volta sul palco, un libro, con dei quadrifogli messi lì proprio dalla Divina. Valeria Bruni Tedeschi, che sarà protagonista di Duse di Pietro Marcello, in prossima uscita. Raccogliendo e ricomponendo preziosi immagini e materiale d’archivio, come la testimonianza di Luchino Visconti che intervistato da Lilla Brignone racconta l’impressione di sgomento, “di una verità sconcertante” che la recitazione ebbe su di lui quindicenne quando la madre lo portò nel 1921 al Manzoni a Milano per vedere la diva sessantatreenne recitare La donna del mare di Ibsen. 

Eleonora Duse.
Eleonora Duse.

La ricerca storica

Sempre per squarci e frammenti, la Bergamasco scova filmati dimenticati, copioni annotati, montagne di foto trovate rocambolescamente (anche dal marito, l’attore Fabrizio Gifuni), scatti che l’hanno resa immortale, con quei gesti inconfondibili, la testa alta come dovesse sempre alzarsi in piedi e dominare il mondo, dalle quali è possibile ricomporre una postura, i movimenti. Senza rinunciare a nessun indizio o traccia, compresa la perizia calligrafica. E ancora lettere, telegrammi, ritagli di giornale, locandine, e programmi di sala appartenuti alla Duse. Le immagini del suo unico film in bianco e nero, Cenere e quelle del trionfale funerale con la bara coperta di rose, trainata da quattro cavalli (il massimo dei funerali del tempo). Muovendosi fra Europa e Stati Uniti, Parigi, Chioggia (i genitori della Duse erano di origine chioggiotta), New York, fino ad Asolo. Prima di chiudere gli occhi per sempre aveva espresso il desiderio di essere sepolta nel piccolo centro del Trevigiano, dove aveva una casa nella quale dimorava spesso. Lasciò scritto di volere essere tumolata rivolta verso il Monte Grappa, per amore dell’Italia e dei soldati che aveva assistito durante la Prima Guerra Mondiale.

La vita della Divina e The Greatest

Figlia di attori d’una compagnia girovaga e di scarsa fortuna, la Duse comincia a calcare il palcoscenico a 4 anni interpretando Cosetta in una versione de I Miserabili. Un’infanzia e adolescenza segnate dal continuo vagabondare da un luogo all’altro (nomadismo le ha impedito di frequentare le scuole) tra disagi e stenti che la segneranno per sempre (contrae anche un’affezione polmonare che mai riuscirà a debellare). Sarà acclamata in tutto il mondo per le sue intense interpretazioni che la portavano a immergersi completamente nel personaggio. (i biglietti a 10 lire per vederla recitare, rispetto ai nomali biglietti a 3 lire). La Divina la chiamava Gabriele D’Annunzio. The greatest la definisce Charlie Chaplin dopo avere vista recitare a Los Angeles nella sua ultima tournee americana. L’attore John Barrymore quando la vede per caso nella hall di un hotel di Venezia, le si inginocchia davanti piangendo. 

Una donna estremamente libera

Il primo amore sboccia per l’affascinante Martino Cafiero, celebre giornalista, la seduce per poi abbandonarla con il “figlio della colpa” che morirà subito dopo la nascita. Pioniera nel dirigere compagnie teatrali e investire in opera innovative di autore come Ibsen, denuncia i limiti imposti alle donne del suo tempo. Partecipò nel 1917 al Congresso Nazionale delle Donne, fonda anche  una “casa-libreria” per giovani attrici, perché dare rifugio e insieme la possibilità di istruirsi. 

La fine di una vita vissuta sul palconscenico

La vita di Eleonora Duse era iniziata nella stanza di un alberghetto di Torre di Vigevano nel 1858 e finisce il 21 aprile 1924 in una elegante stanza d’albergo dell’Hotel Schenley di Pittsburg, durante la tournée americana. Non era possibile immaginare un luogo simbolo di una vita nomade, senza sosta, con i bauli sempre pronti per essere richiusi e aperti, come un albergo. Viaggiando attraverso continenti e palcoscenici.  Il sipario è chiuso. Il mito della Duse continua.

A Milano il primo incontro con Arrigo Boito

È a Milano che nasce la storia d’amore tra Eleonora Duse e Arrigo Boito, letterato e compositore, geniale librettista di Verdi (scrive Otello e il Falstaff) di cui resta testimonianza nelle bellissime lettere (più di 800, l’’esistenza del carteggio rimase ignota fino al 1942) che si scambiarono dapprima con poche missive dal tono formale per poi esplodere in toni appassionati (“Arrigo! Io voglio vedervi, presto, presto“)

Arrigo Boito ed Eleonora Duse.
Arrigo Boito ed Eleonora Duse.

Il loro primo incontro avvenne al ristorante Cova, uno dei locali milanesi più esclusivi di allora, la sera del 14 maggio del 1884, durante una cena offerta alla diva da alcuni frequentatori del Teatro Carcano, dove l’attrice aveva recitato La signora delle camelie di Alexandre Dumas. Non ebbero bisogno di presentazioni. La Duse, allora venticinquenne, era un’attrice già molto nota, sposata (dal 1881) con l’attore Tebaldo Checchi, e mamma della piccola Enrichetta.  Lui ha 42 anni è un affermato compositore e letterato, frequentava i circoli letterali e l’alta società meneghina, scapolo incallito.    

Dopo 36 ore da quell’incontro, Boito le scrive: “Signora, voi siete partita e il filo s’è rotto.  Non è d’obbligo rispondere. State sana e lieta. Saluti cordiali al cav. Checchi». Invece Eleonora risponde. Ma solo più tardi comincerà la loro relazione. Si incontreranno quando molto sarà cambiato nella vita dell’attrice, durante la sua prima  lunga tournée sudamericana si separa infatti dal marito, che resta a Buenos Aires.  Il 5 febbraio 1887, Eleonora Duse è alla Scala alla prima mondiale di Otello di Giuseppe Verdi su libretto di Arrigo Boito. Un amore tenuto segreto. Nonostante l’intensità del sentimento, riescono ad incontrarsi a Milano in modo saltuario a causa degli impegni artistici di entrambi, ma anche a causa di una misteriosa presenza femminile nella vita di Boito: Fanny, e il marito della Duse minaccia di toglierle la figlia, peraltro affidata a un collegio dopo la loro separazione.

A Milano Duse soggiornava al Grand Hotel et de Milan (inaugurato nel 1870) che le ha dedicato La Junior Suite. Fra alti e bassi, la relazione tra “i due che si amano” (così Eleonora Duse si esprimeva nel parlare del suo legame con Arrigo Boito) prosegue fino al 1894 mentre la loro amicizia e un intenso sodalizio spirituale e professionale durerà tutta la vita.

Boito tradusse in italiano i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Giulietta e Romeo, Macbeth, che Eleonora rappresentò in Italia e all’estero, riscuotendo accoglienze entusiastiche. Antonio e Cleopatra ha la sua prima assoluta proprio al Teatro Manzoni di Milano il 22 novembre 1888, con la Drammatica Compagnia della Città di Roma diretta dalla Duse. Nel febbraio 1891 Eleonora Duse debutta al Teatro Filodrammatici di Milano in Casa di bambola di Henrik Ibsen, interpretando la ribelle Nora Helmer. Un ruolo rivoluzionario per l’epoca, che Duse difese contro censure e critiche, trasformandolo in un manifesto per l’emancipazione femminile.

Sotto la Madonnina il commiato da Gabriele D’Annunzio

Nel settembre 1895, Eleonora conosce Gabriele D’Annunzio. Delusa dal legame inconcludente con Boito e scontenta del proprio repertorio, l’attrice sembra aver trovato in Gabriele ciò che da tempo andava cercando. Una storia d’amore la più travolgente e artistica della storia d’Italia e di schermaglie, gelosie, devozione e crudeltà (difficile dire chi dei due sia stato vittima e chi carnefice).

Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio.

Nove anni di lettere d’amore (Ghisola era il nome con cui il Vate la chiamava, dal nome dantesco Ghisolabella). Un sodalizio arte e vita. Lui (più giovane di cinque anni) trova in lei la musa ispiratrice per numerosi componimenti: La Gioconda, con la dedica “A Eleonora Duse dalle belle mani”, per la sua poesia più famosa La Pioggia nel Pineto. Duse, già celebre e acclamata in Europa e oltre Oceano, trova la penna che cercava per dare vita a nuovi testi che superassero il suo repertorio tradizionale (si pensi alla Francesca da Rimini, La città morta) spesso finanziando ella stessa le produzioni.

Tra (innumerevoli) tradimenti, strazianti addii e impetuose riconciliazioni, nel 1904 la tormentata storia termina. “Gli perdono tutto, perché ho amato”, scrive la Duse. Ormai anziano, alla notizia della morte di Eleonora pare che Gabriele D’Annunzio abbia mormorato “È morta quella che non meritai“. Due anni prima, incontrandola per puro caso a Milano, “Quanto mi avete amato!” le aveva gridato inginocchiato – dicono – davanti a lei che, aiutandolo ad alzarsi: risponde: “Ma non potete immaginare quanto vi abbia dimenticato”. 

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