Persone “decise a fare qualcosa di concreto per il nostro Paese”: erano Giulia Maria Mozzoni Crespi, figlia di una grande famiglia dell’imprenditoria lombarda, proprietaria del Corriere della Sera negli anni ’70; Renato Bazzoni, uno dei grandi architetti milanesi che nel dopoguerra voleva ricostruire conservando storia e memoria di edifici e stili; Alberto Predieri, il giurista che parlava di “paesaggio integrale”, ossia “fatto di estetica, ma anche di geografia, urbanistica, architettura, archeologia, diritto, economia, storia, antropologia, linguistica e letteratura”. È in pratica l’idea che sta dietro la Convenzione europea sul paesaggio e che ispira anche il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.

Tutto questo per ricordare i tre protagonisti dell’atto di nascita del Fai, firmato il 28 aprile del 1975. Il mezzo secolo di vita, celebrato anche con un convegno alla Scala lo scorso 8 febbraio, è nei numeri (oltre 300 mila soci, 72 luoghi speciali salvati, recuperati e visitati nel 2024 da oltre 1 milione di persone) e nella realtà degli appuntamenti che ogni anno si ripetono anche con l’impegno di oltre 16 mila volontari. I prossimi 22 e 23 marzo, per esempio, tornano le giornate di primavera, con i Beni Fai aperti: vicino a noi, abbiamo il Monastero di Torba dal 2011 patrimonio Unesco, il primo grande restauro del Fai (terminato nel 1985). Ma per la ricorrenza di quest’anno ci sono anche 5 nuovi Beni in apertura, due dei quali in Liguria, quindi Fuoriporta: il giardino inglese di Villa Rezzola a Lerici e il Podere Case Lovara nel Parco delle Cinque Terre.