C’è ancora bisogno di emozioni forti. Magari rifugiandosi nei “ricordi” di vittorie e situazioni fra l’epica e il folclore, quando determinati sport che non godevano di tutte le attenzioni e gli onori del calcio, riuscivano grazie a poche singole personalità ad incollarci davanti al televisore.
“Vincere in salita”, produzione Netflix per la regia di Tommaso Deboni, è un prodotto di questo tipo, l’antologia delle gesta del ragazzo vincente e “fuori dagli schemi”. Proprio lui, Alberto Tomba un po’ guascone, giocherellone, fisicamente forte e tatticamente lucido, simbolo nazionale di uno sci alpino che sembra non tornare più.
Si parte dagli esordi e i ricordi delle prime discese con padre e fratello, e con la presenza sempre costante di mamma Maria Grazia Dalla Mora, prima tifosa e giusta consigliera nelle prime gare giovanili. È piacevole e nostalgico al tempo stesso ripercorrere insieme vecchi filmati, foto e spaccati di vita e di carriera di questo bolognese che ha saputo creare una mitologia, a partire da una prima vittoria importante avvenuta nell’84 proprio a Milano.
Per passare poi dai mondiali di Crans Montana, le grandi sfide di Coppa del Mondo, Olimpiadi di Calgary, le rivalità avvincenti con nomi altisonanti come Zurbriggen, e la consacrazione definitiva con il suggello della vittoria nella Coppa del mondo del 1995. Vittorie e soprattutto forza di volontà che ha saputo andare oltre cadute decisive o infortuni, a dimostrazione di uno stile inconfondibile, fatto di forza e velocità con il risultato di una potenza devastante che ha saputo solo strappare applausi e urla di gioia, in primis fra i fedelissimi supporter di Castel de’ Britti dove è nato, ma ovviamente di tutti noi che ancora cerchiamo valori ed emozioni sempre più rare nello sport.
Ottime le interviste a compendio di questo documentario. Prendono parola nomi dello sport e del passato di Alberto, da Deborah Compagnoni a Gustav Thoeni. C’è anche il coach dell’Italia calcistica Roberto Mancini a spendere ricordi e aneddoti carichi di elogio, ma il contributo più significativo viene dalle parole pronunciate egregiamente in italiano da un rivale come Marc Girardelli, che riconosce con grande merito e amicizia la storia del nostro “Alberto nazionale”.
Contro il logorio del presente, forse è necessario ogni tanto fare un tuffo consolatorio nel passato, ricordando come sia sempre difficile ma formativo imparare a vincere in salita.
Nostalgico quanto basta, ma la “storia” è scritta e resta.