Molti si chiedono il perché di tanto successo del cinema coreano. Perché questo improvviso “boom” di consensi e di seguito per un cinema distante dai nostri schemi. Per qualcuno può sembrare una copia rivisitata dell’action americana. Oppure semplice moda passeggera come lo stesso “K-pop”. In realtà ragionando da cinefili incalliti il motivo è molto semplice.
Il cinema coreano ha il merito di stupire, mescolando sempre sentimenti, generi e situazioni opposte, senza risultare indigesto. Di riuscire a mantenere alto il valore dell’immagine e della resa fotografica, grazie a una regia che strizza l’occhio all’action occidentale, ma con quei momenti di commozione, riflessione e meditazione tipici dello stile del Sol Levante.
La serie “I Segugi” (2023, Netflix) si colloca pienamente in questo solco. Otto puntate da guardare tutte d’un fiato e dove la violenza si accompagna in parallelo alla dolcezza di una storia di “amicizia” e di appartenenza “familiare”, all’interno di un gioco di vendette e di scontri fra bande. Amore e odio vissuti insieme. Come l’allegria dello stare assieme davanti a una tavola imbandita o l’amarezza di un altro lutto da subire. Sapori ed emozioni continuamente contrastanti, in un “contrappunto” che rimane piacevole.
Si “cineracconta” di tutto e di più, ma senza mai perdere la bussola su un soggetto che ruota intorno al rapporto sinergico e fraterno fra due giovani pugili ed ex marines dell’esercito coreano, Gun-woo e Woo-Jin, che stringono amicizia con un generoso prestasoldi, benefattore ed ex malvivente pentito, per affrontare poi insieme un moderno e spietato strozzino, che sta mettendo mano alle più dannate speculazioni edilizie a Seoul, a discapito dei più deboli e sfortunati.
I “Segugi” ha la particolarità inoltre di ritagliarsi spazio in quella cinematografia che abbia saputo raccontare il dramma degli “anni del Covid”. Ambientata volutamente nel biennio 2020-21, fra mascherine e distanziamenti, “I Segugi” racconta proprio una delle piaghe sorte ai danni di cittadini, piccoli esercenti e imprenditori con il tema dello strozzinaggio. Il rimedio non sembra essere quello della sottomissione ma del “pugilato”, quello vero di chi lotta per sopravvivere.