Intervista al Parroco della chiesa di Santa Teresa di Calcutta a Le Terrazze e dei Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti
Don Paolo Steffano è arrivato da una precedente esperienza a Baranzate di Bollate. Per le sue attività di inclusione sociale, nel 2017 è stato nominato Ufficiale della Repubblica. Lo intervistammo poco più di un anno fa su La Conca, qualche mese dopo il suo arrivo, convinti come siamo che le Parrocchie siano osservatori tra i più sensibili della situazione sociale nel territorio in cui operano. Un anno dopo ci ha concesso una seconda l’intervista, dalla quale emergono novità e prospettive per il futuro.
Qual è la situazione a distanza di un anno dal suo arrivo?
«A livello macro è che entro il prossimo settembre ci sarà l’avvicendamento dei preti di tutta questa zona».
Tu compreso?
«No, io sono appena arrivato. Andranno via don Alfredo, don Mauro di Maria Madre. L’anno scorso era andato via don Giovanni che era a San Barnaba, e io diventerò il referente di tutto. Cioè, Santa Teresa di Calcutta (alle Terrazze), Santi Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti, S. Barnaba e Maria Madre della Chiesa a Gratosoglio. Un’unica realtà, mantenendo però la vitalità di ogni singola parrocchia.
Qui siamo nella fase di passaggio. Bisogna capire chi arriverà, e quali sono i punti di forza e di debolezza di questo cambiamento, perché in gioco c’è anzitutto il tema di come valorizzare, in ogni realtà, quello che già c’è. L’idea è quindi di articolare le attività: il primo capitolo è conoscere le persone. La base è sempre la relazione, ma non abbiamo né fretta né angoscia. A livello territoriale quello che esiste già è molto interessante: a Gratosoglio c’è una ricchezza spaventosa di associazionismo, il Municipio con le proprie iniziative, piccole realtà come laboratori di quartiere… c’è di tutto. Intelligenza e capacità, dalle piccole associazioni alle più grandi, dai grandi progetti ai più piccoli, dove uno inizia e l’altro finisce: siamo un corpo sempre in movimento».
Qualche esempio di attività che avete avviato?
«Ogni parrocchia, ogni oratorio ha le proprie attività, ci si allarga volentieri a tutte le iniziative proposte dal territorio però non ce n’è una in particolare. Vedi che c’è una volontà vivace di socialità, di partecipazione attiva, anche i vari tavoli del Municipio hanno un loro perché di competenza e serietà di lavoro, però siamo all’inizio. Per noi, a livello ecclesiale, siamo in questo turnover di responsabilità. Capire qual è il passaggio da fare non è facilissimo anche perché bisogna sapere su quali forze contare».
A proposito dell’ambito ecclesiale, ricordo il tuo progetto di andare a trovare le famiglie, casa per casa… Questo lavoro sta proseguendo?
«Prosegue. Ogni volta che vai e bere un caffè da una famiglia, ogni volta che incontri qualcuno, ti accorgi che è un guadagno che rimane nel tempo, perché piano piano entri in una dimensione di conoscenza che è più approfondita. Anche l’attività pastorale: un battesimo, un funerale… sono occasione di relazione».
Ma riesci a mantenere i contatti con tutti?
«In questo momento no, perché al momento non è un lavoro che possa fare da solo io. È educare un sistema di comunità che ti permette di dire: guarda che la relazione vale di più delle attività che fai. È un mantra questo. Non è tanto la quantità di attività che fai durante l’anno, ma piuttosto con quante persone sei entrato in relazione, adulti ed anziani che siano. E tutte le piccole iniziative che stiamo intraprendendo… a me piace chiamare tutto questo un grande laboratorio. Laboratorio pastorale, laboratorio di ricerca dove emergono passaggi che non pensavi, altri che intuisci ma non riesci a realizzarli perché occorre più tempo. È un lavoro lunghissimo, di prospettiva, che sai che non avrà mai termine. Poi, la mia idea è che nel momento in cui il laboratorio funziona è perché è capace ogni volta di cambiare. Ed ora che tutto è in movimento, occorre capire a livello pastorale che senso ha essere presenti in un territorio. Ho fatto un anno e mi pare che il guadagno di relazioni ci sia, però siamo ancora all’inizio dell’inizio. Bisogna capire bene dove arare, dove gettare le fondamenta».
Iniziative particolari alle quali avete partecipato?
«Abbiamo appena fatto, a Ronchetto, la fiaccolata della pace a un anno dall’inizio della guerra dell’Ucraina. Ha avuto successo ed è stato un momento molto bello. Tutto il lavoro di accoglienza che era stato fatto delle famiglie ucraine, ha reso facile mettere insieme la gente. Poi l’ottobre scorso abbiamo organizzato una grande festa del raccolto nelle cascine. Qui a Madre Teresa di Calcutta, abbiamo avviato una serie di attività per gli anziani e laboratori per bambini. Abbiamo appena lanciato un laboratorio di riparazioni sartoriali, mamme e nonne volontarie: ci arriva tantissima roba, uno ha bisogno l’orlo, l’altro ha bisogno di allargare, un altro di restringere… non è che tutti sanno fare ‘ste robe: io sono bravissimo a cucire… no scherzo. Sono tante cose che mettono in moto un po’ di disponibilità e un po’ di esigenze. E anche nelle altre parrocchie, tanti piccoli tentativi di doposcuola: la fantasia non manca. Stiamo sistemando anche l’emporio della Caritas di via Saponaro, per la distribuzione alimentare: lì abbiamo fatto un bel lavoro di riorganizzazione logistica. Poi stiamo rifacendo i campi di calcetto a Maria Madre perché la fondazione Milan ci ha fatto un’enorme donazione, quindi a costo zero per la parrocchia».
A proposito della Caritas, è aumentata la richiesta di assistenza?
«Sì, è in continuo aumento, le richieste sono sempre di più, noi facciamo quello che possiamo. Ci stiamo attivando per avere le risorse perché a volte ci mancano alcuni generi alimentari, allora chiediamo a Caritas centrale che ci sostiene e provvede. Poi però occorre considerare che la questione non è semplicemente della bolletta o del pacco alimentare, bisogna ridare dignità a questa o quella famiglia perché altrimenti è solamente un dare che rimane una mera forma di assistenza. Dare le cose è un inizio per entrare in relazione, c’è poi tutto un mondo da ricostruire.
Famiglie numerose con tanti bambini, e tante situazioni fragili con problemi di salute e lavori precari: ognuno cerca di arrangiarsi come può, però alla lunga la situazione diventa pesante. L’idea non è semplicemente incidere sull’assistenza, ma sulla qualità di vita e a questo servono tutti i vari progetti che sono in atto: dal doposcuola al sostegno psicologico, lavorare anche sulla grande attenzione al femminile, sulle ragazze, adolescenti. Stiamo provando ad immaginare come intervenire sui problemi che emergono dall’ascolto delle esigenze delle ragazze, dei ragazzi delle mamme: è un mare magnum, il problema è non affogare. Dietro i drammi e le fatiche, capita che emergano risorse bellissime».
Quanti abitanti hanno le quattro parrocchie di cui sarai parroco?
«Attorno ai 25mila, una piccola città. Quindi ci vuole una squadra e, prima di tutto, una base di conoscenza delle realtà, sennò rischi di fare un programma quinquennale russo. E l’elemento base è la relazione, cioè la storia da cui si viene e in cui si vuole imprimere piano piano il passaggio. È affascinante, faticoso, ma se scegliamo di non lamentarci, di non perderci in particolari di poco conto… Ognuna delle realtà sociali dei diversi quartieri ha le proprie specificità, qui a Le Terrazze siamo in un quartiere di gente che viene anche da fuori, che è benestante, che rischia però di essere un quartiere dormitorio perché non ci vivi. Ci sono anche tante famiglie giovani con bambini ed è bello poter dare occasioni di ritrovo. Da altre parti i bambini sono in giro per tutto il quartiere. Si tratta di dare anche un’impronta educativa, ma per conoscere tutte queste cose ce ne vuole. Io vedo che dopo un anno almeno so girare bene tutte le vie, un po’ in bici, un po’ in moto: è mica poco perché Gratosoglio, ha solo due vie, ma ti giri e ti perdi. Poi capire i pari e i dispari, dove sono i centri di aggregazione e di attenzione, i Caf, i bar, i mercati… ecco, fare un giro al mercato è sempre bello, un’esperienza di umanità».
Ti riconoscono?
«Beh, per ora qualcuno, occorre qualche anno per farsi conoscere davvero».