È il sogno realizzato della Digital nomad dalla Barona: lavorando spostandosi in libertà
Vi abbiamo già parlato di co-working e di lavoro ibrido a Milano. Ma chi sono i nomadi digitali? La storia di Irene Mascìa è proprio quella di una digital nomad dalla Barona. Si tratta di un professionista che non è né un dipendente che vuole lavorare da casa invece che in ufficio, né un turista né tantomeno uno smart worker. Il nomade vuole la libertà di lavorare alle sue condizioni, decidendo: dove, quando e come. Anche all’estero, pur avendo committenti italiani. Il suo stile di vita non è finalizzato al guadagno. Può perfino accettare uno stipendio inferiore pur di essere libero.
Da un anno e mezzo, Irene lavora come editor, correttore di bozze e ghostwriter, per agenzie e privati divenendo una cosiddetta nomade digitale. È anche operatrice in scrittura terapeutica, disciplina che utilizza tecniche specifiche di scrittura riflessiva, creativa ed espressiva, che fanno entrare le persone in relazione con il proprio mondo interiore, desideri e paure.
Libertà grazie alla scrittura
«Da quando ero bambina le parole mi hanno sempre salvata – racconta la Digital nomad dalla Barona – Quelle dei libri che divoravo e quelle che scrivevo nei miei diari. E non esagero quando dico che in certi momenti leggere e scrivere mi hanno letteralmente salvato la vita. Sento come un debito nei confronti delle parole». Nata nel quartiere di Brera nel 1984, ha vissuto lì per un anno e mezzo e fino ai 5 anni in zona Maciachini; infine, dai 5 ai 19, alla Barona. Ha accettato vari lavori – pulizie, cameriera, cassiera, commessa, apprendista sarta, receptionist, addetta al servizio clienti telefonico, segretaria, recupero crediti – fino a diventare impiegata amministrativa con contratto a tempo indeterminato in una società di consulenza, dove è rimasta per dieci anni.
«Spesso è il luogo a scegliere il nomade – aggiunge Irene -. Il primo requisito che deve avere sono i costi contenuti. Il nomade trova le soluzioni più economiche. La sua vita di tutti i giorni non può essere costosa. Poiché viaggiare ha dei costi, deve sempre trovare un equilibrio tra spesa e tenore di vita».
Chi è il Digital nomad?
Ma quali sono le caratteristiche dei luoghi del nomade digitale? Se è un co-working avere una connessione veloce, il wi-fi e l’accesso alle prese elettriche, ma anche postazioni ergonomiche e luminose, con vista, stanze isolate e insonorizzate per fare riunioni online («se sono incluse nel pacchetto, altrimenti si possono anche fare da casa»), sala relax con tavoli per condividere il pranzo, spazi esterni. Secondo Irene, il co-working è come l’ufficio: «Necessario per la socialità, ma non indispensabile».
La montagna, il mare, i luoghi nella natura fanno già una scrematura, chi li ama predilige un certo stile di vita, senza traffico, né stress, né discoteche. Il rovescio della medaglia è l’assenza di servizi, che invece per il nomade «devono essere accessibili e comodi, dai negozi alla posta ai bar e ristoranti, perché il nomade difficilmente ha la macchina e non la noleggia, a meno che non sia strettamente necessaria, anche perché sposa una scelta di vita ecosostenibile. Quindi i trasporti pubblici assumono un ruolo essenziale, anche per i collegamenti dalle città e dagli aeroporti.
L’equilibrio vita-lavoro
Oltre al lavoro, è importante anche il tempo libero: chi sceglie questo tipo di vita ama conoscere il luogo in cui lavora. Quindi le visite guidate a castelli o borghi storici o il trekking con guida sono attività ben accette. «Quando si smette di stare al pc il contesto diventa importante». L’amore per la natura è una costante, per cui la possibilità di lavorare in alta quota in un rifugio o in riva al mare, magari per una decina di giorni, è gradita. È una continua ricerca di equilibrio tra i servizi di una città e il benessere offerto dalla natura. Un giusto compromesso può essere un luogo di mare vicino a una città del Sud, che offre meno di una città del Nord, ma favorisce il relax personale. Milano avrebbe il top di servizi, ma troppo costosi, e pochi panorami paesaggistici.
Uno dei principali problemi è quello di trovare la casa, non a prezzi turistici ma da lavoratore. «Ben venga, per dividere le spese, anche la condivisione di un alloggio, con tante camere da letto e spazi comuni per il lavoro o per cucinare. Si escludono gli hotel e tutto quello che è turistico e costoso. Il nomade è disposto alla scomodità pur di non spendere. Se scegli questa vita è proprio per rinunciare alla routine statica e schematizzata, in cui si guadagna per spendere. È l’opposto del consumismo». E la tendenza al nomadismo, esplosa in pandemia, continua a crescere.
di Elena Rembado